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Monserrato saluta Cesare Pibiri, 92 anni, uno degli ultimi innestatori e potatori di viti che usava i metodi antichi, tradizionali, quelli che non si apprendono attraverso i libri di scuola bensì si tramandano di generazione in generazione. Il sindaco Tomaso Locci: “Salutiamo commossi e con immenso dispiacere un nostro cittadino che, per tutta la comunità, ha rappresentato forza e valori non solo dal punto di vista professionale ma anche umano. Con lui perdiamo un pezzo della nostra storia, della nostra identità legata alla vocazione vitivinicola”.
Cesare Pibiri nasce a Monserrato il 18 aprile del 1931, prendendo il nome del padre, per questo in famiglia tutti lo hanno sempre chiamato Cesarino, per indicare il piccolo.
Cresce in una famiglia non agiata, in anni di povertà segnati dalla guerra, causa, poi, della sua grande sofferenza.
Sin da bambino lui e il fratello accompagnano il padre in campagna e imparano, così, l’arte della potatura delle vigne.
Non frequenta la scuola perché a quel tempo, tra due guerre mondiali, una delle quali ancora in corso, la priorità è la sopravvivenza alla fame, alla miseria.
All’età di undici anni lavora nei campi e nelle vigne anche per altre persone perché, nonostante la giovane età, la sua abilità di potatore diventa presto nota. Ma il destino, crudele e malvagio, mettono a dura prova il signor Pibiri che, anche se ancora piccolo, è costretto a crescere rapidamente.
Nel pomeriggio del 31 marzo 1943, mentre è impegnato nella potatura di una vigna, nella zona di Is Mirrionis a Cagliari, sente gli aerei passare e bombardare, si gira a guardare verso la sua Monserrato e vede il fumo nero che sovrasta il paese; preso dalla paura e dalla preoccupazione per la sua famiglia corre verso casa. Quando arriva, vede le due sorelle e il fratello in preda alla disperazione. Gli comunicano che sia la madre che il padre sono stati colpiti dagli spezzoni e che i loro corpi sono stati portati a Cagliari, forse all’ospedale Civile o alla Croce Rossa.
Cesarino è sconvolto dalla tragica notizia, è ancora un bambino, ma deve capire cosa è accaduto ai suoi genitori.
Con il fratello, di qualche anno più grande, si reca a Cagliari per cercare i genitori. Insieme arrivano all’ospedale Civile dove trovano la madre ormai morta. Poi, alla Croce Rossa ritrovano il padre, che colpito alla testa, è in fin di vita anche lui.
Nel giorno di Pasqua, il 25 aprile 1943, dopo lunga agonia, anche il padre muore.
I giovani Pibiri sono oramai soli e devono trovare il modo il sopravvivere a questa grande tragedia.
La famiglia deve sfollare in un altro paese, perché i rischi di altri attacchi aerei sono ancora presenti.
Rientrati a Monserrato, restano a vivere per un po’ di tempo nella casa paterna, ma anche se la sorella maggiore si prende cura della sorellina più piccola e dei due fratelli, la povertà costringe i ragazzi a cercare un lavoro per poter andare avanti.
Nell’aprile del 1943 compie dodici anni, inizia a lavorare duramente per poter andare avanti, tragicamente provato dal destino, mostra grande forza e resistenza. È ben voluto da tutti e viene chiamato nelle campagne a lavorare per guadagnarsi un pezzo di pane. La guerra è ancora lunga e la fame e la miseria sono ancora presenti più che mai.
Cesarino vive anni di grandi sacrifici, ma resta sempre fortemente legato ai suoi fratelli.
Nel 1946 la sorellina più piccola viene messa in collegio a Cagliari, come orfana di guerra, per poter studiare. Cesarino è sempre presente per lei, si reca a trovarla spesso la domenica e mai le fa mancare il suo affetto, così per tutti gli anni del collegio.
Parte per il servizio militare all’età di 21 anni, in Lombardia; in quegli anni impara a leggere e a scrivere grazie all’aiuto di un suo commilitone. Si appassiona alla lettura di opere classiche come l’Eneide, l’Iliade, la Divina Commedia e prova molto interesse per la storia. Impara i versi a memoria e li ripropone con entusiasmo ai famigliari e agli amici, diventando lui stesso autore di versi poetici.
Una volta rientrato in paese riprende a lavorare nelle campagne, la sua vita prosegue come sempre con grandi sacrifici: è un grande, instancabile e abile lavoratore.
Si fidanza con una giovane di Monserrato, Maria Josè, una donna buona, gentile e amorevole che sa ascoltare e confortare la sua sofferenza interiore.
Insieme costruiscono la loro casa, in un terreno che Cesarino ha comprato con i soldi ricevuti dalla vendita della casa del padre.
I due giovani sposi festeggiano il loro matrimonio, con un pranzo nella loro nuova casa insieme ai famigliari.
Negli anni successivi nascono i loro quattro figli, orgoglio di Cesarino e Maria Josè.
Uomo onesto, amichevole, generoso, appassionato di ciclismo, di poesia e di storia dedica la sua vita alla famiglia e al lavoro per il quale è stato sempre apprezzato e ben voluto da tutti.
“Per sempre nel cuore di chi ti ha conosciuto e amato” sussurra il figlio Gian Luca a nome di tutta la sua famiglia alla quale si stringe il primo cittadino in rappresentanza di tutta la comunità monserratina, che partecipa al dolore per la scomparsa del loro illustre concittadino.