Sono ancora fumanti i rimasugli dell’incendio che ha devastato l’oasi lagunare di Molentargius, tra il Poetto di Quartu e Margine Rosso. Colpa dei piromani che si sono divertiti ieri, a scatenare un inferno o forse di un incidente, chissà…
Di certo il nulla e il nero si è annidato nello stagno.
Ma si, diranno alcuni, tante zanzare sono scomparse da quest’area palustre, così i nidi delle vespe ed i covi dei parassiti.
E, probabilmente, anche fenicotteri e i cani randagi (avvistati nei giorni scorsi), sono morti in questo deserto informe di cenere fumante anche secondo i nostri lettori: “regna sovrana una puzza di carne arrosto” hanno detto.
Una puzza insopportabile che si è sovrapposta all’odore nauseabondo di urina e acqua palustre, di umido e di muschio in questo dopo-incendio nel quale le acque salmastre hanno sempre la loro poesia: sfumano con pennellate grigio-cenere in quella che era, ed è, oasi tutelata, forse solo sulla carta, da Leggi e speciali convenzioni.
Chi pagherà per questo disastro ambientale?
In qualsiasi società civile un fatto del genere dovrebbe e stimolare una profonda riflessione. Anche in termini di inquinamento da combattere. Ma tant’è.
Da un lato, se non è chiaro cosa diverrà questa zona umida in futuro, dall’altro sappiamo che oggi più di ieri, lo stagno, ha bisogno di tempo e di aiuto per divenire nuovamente oasi ed habitat naturale verde, per riacquistare da madre natura la fauna e la flora che la rendevano unica.
Molentargius è un patrimonio ambientale della collettività di fatto goduto da pochi.
Lo stagno, anche se martoriato dal fuoco, è pur sempre un luogo identitario. È sodalizio tra storia e natura; la storia del sale e della sua “estrazione” che affonda nel lontano passato, quando i dominatori romani vollero estrarre e commercializzare il nostro oro bianco. Come accadde nel Medioevo, e più in la nel tempo.
Pochi rammentano che Cagliari ha radici nell’acqua. E quelle radici, ora arse, dovrebbero germogliare, sulla cenere.
Al di qua de “su cannizzau” (anch’esso devastato dal fuoco in via Fiume) che cinge e separa “Su stani” dal resto della metropoli, è forse giunta l’ora di pensare seriamente al futuro di un patrimonio che Cagliari e Quartu hanno la fortuna di avere.
Non deve ospitare solo le acque odorose, possibili focolari di malessere, lo Stagno.
Al di qua de “su cannizzau” (anch’esso devastato dal fuoco in via Fiume) che cinge e separa “Su stani” dal resto della metropoli, è forse giunta l’ora di pensare seriamente al futuro di un patrimonio che Cagliari e Quartu hanno la fortuna di avere.
Non deve ospitare solo le acque odorose, possibili focolari di malessere, lo Stagno.
Lui, con i resti dello storico “arco di contenimento” creato dai militi nel 1943, con i bellissimi fenicotteri, con i suoi scorci, i resti degli opifici industrial-minerari, potrebbe per davvero far la differenza in una Quartu e Cagliari che vorrebbero diventare turistiche.
Invece, se chi di competenza non interverrà, con misure ad hoc per tutelare l’area, il prossimo rogo potrebbe far scomparire altro ancora, ed anche loro, “Sa genti arrubia”. Perché la storia insegna che l’uomo è capace di far male, a volte è incapace di agire e nel frattempo “is molentisi” che diedero il nome a questo sito, Molentargius appunto, sono andati via da un pezzo.
O forse no?











