Il Cagliari per restare in A con costanza negli ultimi dieci anni ha avuto un segreto: cambiare sempre ma poco, due pedine o poco più all’interno dell’undici titolare all’inizio di ogni stagione. Coprire le cessioni necessarie per continuare ad avere una gestione sana, in primis andando alla ricerca di giovani promettenti da inserire gradualmente e senza eccessive responsabilità, dopo avergli fatto respirare e comprendere la consapevolezza e l’importanza di indossare la maglia rossoblù.
Da Canini a Astori, da Nainggolan ad Ekdal, hanno seguito un iter ben preciso che ha consentito di non bruciare dei ragazzi da tutti pronosticati con un sicuro avvenire. C’è chi ha avuto il Cagliari come il picco massimo della propria carriera e chi, ha sfruttato la chance rossoblù come trampolino per affermarsi in piazze più blasonate. In più un modulo che raramente veniva modificato, ovvero quel 4-3-1-2 marchio di fabbrica, aiutava e non poco i nuovi arrivati ad inserirsi in un ingranaggio oramai collaudato.
L’anno che va a concludersi era iniziato con un sogno seducente, gestione nuova, volti nuovi, filosofia nuova, una rivoluzione copernicana che raramente si sarebbe potuta vedere in passato. Eppure l’utopia si è trasformata ben presto in un presente da tinte fosche, dove vecchi e nuovi interpreti hanno faticato enormemente nel trovare la giusta quadratura del cerchio.
Giovani incapaci di farsi da subito protagonisti, probabilmente eccessivamente responsabilizzati e senatori vogliosi di dare l’esempio, incapaci di tradurre in prestazione quanto la mente desidera. Alla fine della giostra, la normalità ha portato Gianluca Festa sulla panchina rossoblù che, guarda caso ha rispolverato il modulo foriero di grandi soddisfazioni.
Protagonisti vecchi e nuovi hanno trovato la collocazione giusta per le proprie caratteristiche, senza barocchismi o esperimenti inutili.













