Cagliari, la rabbia dei lavoratori nei call center: “Ci pagano meno di 43 cent al minuto”

Giovani, ma anche padri e madri di famiglia, tra lo spettro della delocalizzazione e il non potersi costruire un futuro. Sono 10mila gli operatori call center sardi: “Troppe aziende scelgono lavoratori nell’est Europa perché risparmiano, quando facciamo straordinari veniamo pagati troppo poco. Molte società danno meno di 43 centesimi al minuto ai gestori, quasi tutti quei soldi sono destinati ai lavoratori”. Ecco le loro storie


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Chiedono più garanzie al Governo, a partire da quelle economiche: molti committenti pagherebbero meno di 43 centesimi al minuto ai vari gestori di call center, e quasi tutti quei soldi vanno, poi, ai lavoratori: “È troppo poco”. E, in molti casi, “le aziende ne pagano appena trentaquattro”. Non è però legato solo i soldi l’sos che, anche a Cagliari, lanciano i lavoratori e lavoratrici dei call center. L’età media è impossibile da calcolare: c’è chi ha 26 anni e spera di fare carriera e chi ha superato i quaranta e confessa “di non farcela con ottocento euro al mese”. In circa duecento hanno protestato fuori dalla prefettura di piazza Palazzo, insieme ai tre sindacati principali. “Chiediamo il rispetto delle tariffe minime e la lotta al dumping contrattuale e alle delocalizzazioni”, spiegano dalla Cgil, oltre alla sicurezza di poter avere accesso “agli ammortizzatori sociali e al fondo di solidarietà”. Dalla Uil aggiungono che, sui pagamenti, “il rispetto della tariffa minima dei 43 cent è essenziale, sennò il lavoro dato in appalto non vale come necessario per svolgerlo”. Ancora, c’è tanta rabbia per la scelta, sempre più comune, di aprire call center all’estero, soprattutto nell’est Europa: “Tutti casi di dumping che non favoriscono l’occupazione stabile”.

“STRESSATI E PAGATI POCO, NESSUN FUTURO” – Ma chi sono, nel 2019, gli operatori e operatrici sardi del call center? Da ciò che lamentano, non di certo benestanti: “Ho 36 anni e prendo ottocento euro al mese, sono costretta a vivere ancora con mamma e papà. Il mio è un lavoro stressante, cerco di sfogarmi facendo palestra”, racconta Marianna Perra, cagliaritana, rappsentante Cgil e lavoratrice in un’azienda che si occupa di assistere chi ha una finanziaria. “Sì, lo stress c’è”, conferma un suo collega, il 32enne Matteo Angioi, rappresentante Uil: “Spesso i clienti ti insultano, trattandoti come se tu non stessi lavorando. Sto mandando in giro curriculum per trovare un lavoro che mi permetta di avere un futuro”.


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