Capoterra ricorda le vittime delle alluvioni che hanno segnato duramente il territorio nel corso degli anni con una suggestiva cerimonia avvenuta di fronte al municipio questa mattina. Il sindaco Beniamino Garau: “Ancora oggi è un dolore tangibile pronunciare i loro nomi e rivivere quei momenti tragici.
Ma l’uomo sa essere anche altro. La resilienza che è in ognuno di noi, ossia la capacità di rialzarsi dopo essere caduti, rimbalzare, di risollevarsi dopo una catastrofe, pronti a vedere nuovi orizzonti della propria esistenza e a cogliere le nuove opportunità che la vita offre”. Sono stati letti i nomi dei cittadini strappati alla vita dalla furia incontenibile dell’acqua e raccontate le loro storie per ricordare, per non dimenticare gli episodi che ancora oggi sono impressi nella memoria. “Fragilità, impotenza, paura” i sentimenti che hanno prevalso in quei terribili istanti in cui incombeva la devastazione, scolpiti “nel cuore dei capoterresi in quei giorni bui, in quelle tragiche ore, che hanno cambiato il destino di tutti noi.
E hanno stravolto le vite di tante famiglie e per alcuni ne hanno strappato anzitempo la vita”.
Quella di Margaret, che il 15 ottobre del 1986, non riuscì ad afferrare la mano di Oreste e fu strappata via dalla furia di un torrente che con impeto scorreva da quella montagna scura, buia nera che fino a quella mattina splendeva di colori vivi e di luce, e che accompagnava le sue giornate piene di gioia e d’amore con il suo Oreste. Mattine, albe e tramonti che lei non poté più vedere.
Quella di Felicina, Che il 13 novembre del 1999, si trovava nella sua casa, rifugio sicuro dove stava con sui figli e con suo marito che, mentre cercavano di uscire per scappare da quell’acqua e da quel fango che, sempre più velocemente entrava dentro le stanze, un fiume impetuoso di detriti e fango la trascinò con violenza dentro abbattendo il muro e trasportandola per centinaia di metri mentre il marito disperatamente cercava invano di raggiungerla.
Quella di Speranza, Che il 22 Ottobre del 2008 nella cantina della sua casa, la sua fragilità non poté vincere contro quella furia di acqua e fango, contro quella natura violenta, quella forza impetuosa.
Quella di Antonello e Licia, Che il 22 ottobre del 2008, a poche centinaia di metri dalle loro case, mentre percorrevano in auto quel ponte per uscire da Poggio dei Pini, per raggiungere Cagliari. Quel ponte non abbastanza alto, non abbastanza forte per contenere la forza che impetuosamente si abbatteva su di esso e proteggere chi in quel momento, come Antonello e Licia, lo attraversava.
Quella di Anna Rita, che la mattina del 22 ottobre del 2008 si accingeva, come tutte le mattine, a raggiungere i suoi ragazzi a scuola. Non poteva non farlo, non poteva e non voleva mancare al suo dovere, ma quel fiume di fango lo impedì e a nulla valsero i tentavi disperati di chi dall’argine la vide e cerco di tenderle dei rami per afferrarli. Ma invano. Troppa era la forza di quell’onda di fango e detriti.
“Il loro sacrificio non deve rimanere vano e non lo sarà” ha espresso Garau.












