Sequestro Orlandi-Gregori e banda della Magliana, i nuovi risvolti shock: “È stato De Pedis”

Caso Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, spunta una registrazione segreta dell’ex socio di De Pedis con dettagli inediti sulla scomparsa delle ragazze: “Coinvolto il boss della Banda della Magliana”. La ricostruzione della contorta vicenda a “Nero come la Cronaca”.


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In questi giorni si è creata una certa attesa sui contenuti di un audio registrato nel 2009. In una conversazione “rubata” un ex esponente della banda della Magliana accusa alti prelati e torna in primo piano il ruolo avuto nella vicenda dal boss Enrico De Pedis. La prima a puntare il dito contro “Renatino” è stata l’ex amante Sabrina Minardi, nell’inchiesta aperta nel 2008. La donna ha sostenuto di aver accompagnato in macchina la ragazza ai piedi del Gianicolo, nell’estate 1983, e ha aggiunto di aver consegnato Emanuela nella piazzola di un benzinaio a un monsignore giunto su una berlina nera e di aver sentito da “Renatino” che il rapimento era stato organizzato per riavere indietro i soldi consegnati al Vaticano attraverso lo Ior di Marcinkus. 

Questa versione, peraltro sempre contestata dalla Santa Sede, era già nota. Ma negli atti giudiziari non c’è soltanto l’ex amante, compare anche un altro indagato: il fotografo Marco Accetti, l’uomo che nel 2013 ha consegnato il flauto riconosciuto dalla famiglia come quello di Emanuela e la cui voce corrisponde a quella di almeno un paio di telefonisti. Accetti ha chiamato in causa molte volte De Pedis nel suo memoriale di autoaccusa, che contiene una ricostruzione del sequestro di Emanuela davanti al Senato. Un documento inedito, custodito in Procura, che oggi assume grande interesse anche alla luce della credibilità che lo stesso Accetti si è guadagnato questa estate quando il pm Amelio ha disposto l’apertura della tomba di Katy Skerl, una 17enne assassinata nel 1984 – un delitto da subito collegato al caso Orlandi – e verificato che effettivamente la bara che custodiva i resti della ragazza era stata rubata, così come era stato rivelato con largo anticipo proprio dal fotografo. Accetti, oggi 67enne, si è autoaccusato del sequestro, affermando di essere stato ingaggiato da un gruppo di religiosi interessati da un lato a contrastare la linea fortemente anti-comunista di papa Wojtyla e dall’altro a chiudere con un accordo la partita finanziaria legata al crak del Banco Ambrosiano. Un ulteriore obiettivo, sempre secondo Marco Accetti, era far sedere al tavolo delle trattative Santa Sede e Stato Italiano al fine di liberare il terrorista Mehmet Ali Agca che aveva attentato alla vita di Giovanni Paolo II, il 13 maggio 1981.

“Dopo la morte del Presidente dell’Ambrosiano Calvi – scrive Accetti nel documento secretato dalla Procura – venne meno la compattezza di quell’insieme di persone che a lui prestava fondi da destinare a Solidarnosc, e fu quindi agevole convincere De Pedis a collaborare con noi. L’interesse di De Pedis sarebbe stato quello di recuperare quanto prestato a Calvi, ma a questa operazione si sarebbe opposto Mons. Marcinkus”. Emanuela, in tale scenario, sarebbe stata presa in ostaggio con un movente multiplo, nell’ambito delle tensioni sui finanziamenti alla Polonia e sulla malagestione delle finanze della Santa Sede. Ecco quindi, secondo Accetti, cosa sarebbe accaduto alla sventurata quindicenne nel pomeriggio del 22 giugno 1983:

“Avevamo già avvicinato la Orlandi ed eravamo d’accordo – scrive Accetti – sarebbe dovuta pervenire dal Palazzo di Giustizia, cosa che non fece, imbattendosi in una compagna che la indirizzò a percorrere l’interno di piazza Navona per poi riprendere Corso Rinascimento dalla parte opposta”. Il gruppo di rapitori, quindi, era riuscito a conquistarsi la fiducia di Emanuela tramite una complice, un’amica di scuola della quindicenne? Sembrerebbe proprio così.

“La Orlandi si fermò alcuni metri prima del punto prefissato, al centro della strada che mette in comunicazione corso Rinascimento con piazza Navona.  La Bmw, parcheggiata in doppia fila nel tratto che va dal Senato a Corso Vittorio Emanuele II, nel vedere la ragazza avanzò e sterzando a sinistra si accostò contromano e in doppia fila al centro della stradina. Questa manovra, con un’auto inconsueta e dal colore sgargiante serviva ad attirare l’attenzione di quanti stazionavano innanzi al Senato. L’intenzione era che si potesse produrre un identikit al fine di far credere che il sequestro fosse opera della criminalità romana” scrive Accetti.

A questo punto del racconto De Pedis scende dalla macchina, si dirige verso il marciapiede, e contestualmente la ragazza avanza verso di lui, ed entrambi simulano un incontro su appuntamento. L’imprenditore le mostra, estraendoli dall’interno di un tascapane, alcuni prodotti cosmetici avvolti nella loro confezione.

Accetti  si posiziona così sulla scena, affermando di essersi vestito e acconciato in modo da somigliare a “Renatino”: “Io sotto un leggero giubbotto, recavo gli stessi abiti indossati dall’imprenditore, ed anche sotto un leggero cappellino a visiera riportavo i capelli con lo stesso taglio e pettinatura del signor De Pedis. Questo per sostituirmi rapidamente a lui nella eventuale necessità che la sua persona potesse essere stata individuata e in pericolo. Al termine del breve colloquio la ragazza si diresse verso la scuola di musica ed anche l’imprenditore percorse la stessa direzione, andandosi a parcheggiare. La Orlandi entrò a scuola e tutti ci allontanammo”.

La ricostruzione si sposta adesso alle 19, ora in cui Emanuela, finite le lezioni di flauto e canto corale, fa l’ultima telefonata a casa, quella in cui racconta di aver ricevuto una proposta di lavoro. Accetti insiste nel far notare che quel pomeriggio i genitori di Emanuela non erano a casa e non per un caso. “Nell’abitazione della Orlandi – prosegue il memoriale – non doveva trovarsi alcun membro della famiglia. L’assenza dei genitori avrebbe dovuto significare che il padre Ercole aveva accettato la nostra proposta. Il progetto originale prevedeva che in casa non vi fosse nessuno e che Emanuela dopo la telefonata avrebbe dovuto comunicare alle compagne che essendo i genitori assenti chiedeva consiglio alle stesse riguardo l’accettare o meno la proposta di lavoro”.

“L’appuntamento – continua il memoriale – era per le ore 7 pomeridiane nuovamente di fronte al Senato. A prendere la Orlandi si avvicinò la sua compagna d’istituto del Convitto. La Orlandi e la compagna si avviarono, attraversando corso Rinascimento, in direzione Corso Vittorio Emanuele II, e si fermarono all’imboccatura di una stretta via che immette in piazza Navona. E da questa ne uscì una Mercedes con targa posticcia riconducente allo Stato Città del Vaticano”. 

 “Le ragazze salirono a bordo nel sedile posteriore e la macchina si avviò molto lentamente, sfilando innanzi al Senato, con la Orlandi ben visibile al finestrino posteriore, nella speranza che potesse essere notata dal personale che ivi stazionava”. L’auto, secondo quindi il racconto di Accetti, arriva davanti a Porta Sant’Anna e le due ragazze scendono. La Orlandi entra all’interno e la ragazza del Convitto la aspetta all’esterno della stessa porta. Da questo momento Accetti spiega che  Emanuela sarebbe rientrata per qualche minuto in Vaticano, per farsi vedere da qualcuno, e poi, sempre sotto la “scorta” dei suoi rapitori, sarebbe stata condotta in una casa religiosa, Villa Lante della Rovere, ai piedi del Gianicolo, dove avrebbe trascorso la prima notte. Ma nel frattempo accade qualcosa di importante che avrà forti ripercussioni.

“L’indomani ci giunse notizia che la Commissione Bilaterale, voluta dal Segretario di Stato Card. Casaroli e composta anche da personalità appartenenti alla Repubblica Italiana per indagare sulle gravi discrasie economiche verificatesi all’interno dello Ior, non avrebbe consegnato, così come da impegno preso, il proprio parere il 30 giugno 1983. A tal fine si decise di trattenere la ragazza, la cui scomparsa si poteva gestire anche in rapporto a tale possibile necessità”.

Siamo tornati, quindi, al movente multiplo: un sequestro a sfondo politico – complottistico, ideato come temporaneo, un rapimento lampo da far durare pochi giorni, nato come un allontanamento volontario da casa (è indubbio che la ragazza sia caduta ingenuamente in un tranello) che con il precipitare degli eventi sarebbe cresciuto di mese in mese, allarmando l’opinione pubblica e trasformandosi nell’intrigo più torbido di fine Novecento.

Ma non è finita qui. Accetti afferma di essere stato protagonista anche della sparizione di Mirella Gregori, una coetanea di Emanuela, avvenuta sempre nello stesso anno.

“Le due scomparse sono state organizzate nel tempo – viene spiegato nei verbali – selezionando le ragazze e facendole avvicinare da coetanee per conquistarne la fiducia”.

Nell’interrogatorio reso in Procura meno di 10 anni Accetti  spiega che  “a noi serviva una ragazza vaticana e una italiana. Quindi cercammo una ragazza italiana, che non conoscesse la Orlandi né frequentasse lo stesso ambiente, per evitare che si pensasse che tra le ragazze si potesse essere verificata una collusione. Scegliemmo la Gregori per l’aspetto finanziario del padre e la temperatura caratteriale della stessa”.

“Una persona vicina all’imprenditore De Pedis – continua Accetti – si occupò autonomamente di soddisfare i bisogni economici del signor Gregori”. Pare che l’uomo si fosse indebitato per aprire un locale.
“Noi non avremmo voluto che le due storie potessero assomigliarsi – spiega Accetti – per cui l’una “scappa” per una storia d’amore (Gregori) e l’altra deve aiutare il padre ricattato (Orlandi)”.

Mirella ed Emanuela, secondo la tesi di Accetti, sarebbero state convinte a restare fuori casa qualche giorno per aiutare i loro genitori, entrambi in difficoltà: uno, Paolo Gregori, per i debiti del locale, e l’altro, Ercole Orlandi, per il presunto errore del messo pontificio nel controllare gli accessi alle messe del Papa, a causa del quale Agca si sarebbe avvicinato troppo a Wojtyla.

In entrambi i sequestri sarebbero intervenuti De Pedis e la sua banda.

 

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