di Nanni Boi
Società Polisportiva Ars et Labor. Alzi la mano chi non si è mai esibito da ragazzino degli anni Sessanta nella spiegazione della sigla Spal, la squadra di Ferrara che giocava in serie A e aveva quel nome così misterioso.
Come tante altre società, persino più blasonate, anche quella emiliana ha dovuto ammainare bandiera qualche anno fa nell’ecatombe del campionato di Lega Pro. Un pugno nello stomaco per quanti ricordavano i miracoli continui di Paolo Mazza, il presidente-manager-direttore sportivo-allenatore, insomma il factotum che per sedici lunghi anni è riuscito a tenerla in A cedendo i pezzi migliori che scovava in giro per l’Italia e rivendendoli poi a peso d’oro. Oggi la Spal la serie A l’ha ritrovata dopo 49 lunghissimi anni, grazie alla bravura della società presieduta da Walter Mattioli e ben diretta da Davide Vagnati che ha saputo imporsi come uno dei diesse più attivi fra le giovani leve. Ma Spal-Cagliari in calendario domenica non sarà soltanto la sfida tra il neo acquisto rossoblù Pavoletti e il suo predecessore Borriello che sino a poche settimane era compagno di quelli che domani saranno suoi avversari e che nella scorsa stagione fece spellare le mani ai tifosi cagliaritani segnando 20 reti tra campionato e coppa Italia. La Spal è anche un pezzo di storia del campionato italiano che i più giovani non conoscono e che forse vale la pena di raccontare.
Partendo ovviamente da Paolo Mazza, che da elettricista divenne poi titolare di un’impresa impiantistica nello stesso settore, e che è stato per quasi cinquant’anni l’anima della società, nonché una figura di spicco nel panorama del calcio nazionale anni 50-60, anche, si dice, per la grande mano che gli dava l’allora sottosegretario e ministro Luigi Preti, altro ferrarese col cuore spallino.
Insieme a Lanza di Trabia, presidente del Palermo e a Renato Dall’Ara presidente del Bologna che “meglio di così si gioca solo in paradiso”, fu l’inventore del calcio mercato nei saloni dell’Hotel Gallia di Milano agli inizi degli anni Sessanta. Sempre in quel periodo fu addirittura commissario tecnico della Nazionale con Giovanni Ferrari (e per breve tempo anche con Helenio Herrera che andò via perché, udite, udite, ne subiva la forte personalità). Il suo potere era così conclamato che riuscì a liberarsi dello scomodo vicepresidente Pasquale, promuovendolo nel settore tecnico e poi massimo dirigente della Federazione italiana giuoco calcio per non averlo più tra i piedi in società ma come fedele alleato nei piani alti del calcio italiano. Precursore in tal senso di quello che fece poi Berlusconi trent’anni dopo, quando spinse Arrigo Sacchi verso la panchina azzurra perché al Milan, si dice, non lo sopportava più nessuno.
Fece affari d’oro facendo fare la figura dei fessi a tanti presidenti ricchissimi. Lui, il mago di campagna, trovava modo di riciclare vecchie glorie per farle risplendere come nei giorni migliori. E valorizzò giocatori cambiandogli il ruolo. Fu così per l’argentino Oscar Massei che trasformò da attaccante in regista e che detiene tutt’ora il record di presenze e gol con la maglia a strisce sottili bianche e azzurre (244-52). Massei al termine della stagione 1966-67 giocò anche una tourneé con la maglia del Cagliari, o meglio con quella dei Chicago Mustang, negli Stati Uniti, resa celebre dalla famosa “pipì nell’ambasciata” che costò per un anno il posto all’allenatore Scopigno.
Molti ricordano Capello, Pasetti e Reja di una formazione che annoverava i migliori giovani d’Italia e che vinse il campionato di categoria nel 1965, così come tre anni dopo si aggiudicò il campionato De Martino, una sorta di torneo riserve, accesissimo, di cui si sente oggi la mancanza.
L’acquisto di Fabio Capello per 2 milioni di lire dal Pieris e la successiva cessione alla Roma per 250 milioni nel 1967 è stato uno dei non rari fiori all’occhiello. Ma già molti anni prima Mazza aveva fatto il botto con Fulvio Nesti, mediano toscano acquistato dalla Scafatese per 700mila lire e ceduto poi all’Inter per 70 milioni nel ‘52. L’anno dopo è il turno del portiere Bugatti, l’Ottavio volante. Mazza lo preleva dal Seregno dove risulta il portiere più battuto della B a due lire e lo cede due anni dopo al Napoli per 55 milioni. Sia Nesti che Bugatti avrebbero indossato la maglia della nazionale. Così come Pandolfini, che divenne addirittura capitano azzurro con 21 presenze e 9 gol. Il Commendatore lo prese nel ’48 dall’Empoli per 3 milioni e dopo una sola stagione in cui l’attaccante realizzò 20 reti lo cedette per 16 milioni alla Fiorentina che se ne era disfatta solo tre anni prima.
Nella Spal hanno militato fior di giocatori anche in seguito: per esempio il trio Zaglio, Malatrasi e Picchi, finiti tutti in maglia azzurra. Franco Zaglio, mediano, giocò poi con Roma e Inter; Saul Malatrasi fece una bellissima carriera da roccioso marcatore vestendo le maglie di Fiorentina, Roma, Inter e Milan e vincendo parecchi trofei. Con Armando Picchi la squadra ferrarese si piazzò quinta nel campionato 59-60, record mai più superato. Mazza cedette a fine stagione il libero livornese all’Inter in cambio di 24 milioni e della piena proprietà del trio Massei-Matteucci-Valadè. A Ferrara si riciclò anche l’ala Carlo Dell’Omodarme, doppione facilissimo da trovare nelle figurine. Due grandi stagioni in biancazzurro per tornare alla Juve (naturalmente in cambio di guiderdoni sonanti) dove era cresciuto, salvo poi rientrare a Ferrara per altre tre stagioni. Dell’Omodarme con l’altro doppio ex Spal-Juve, Adolfo Gori, fu tra i primi a cercare fortuna nel soccer americano con i Rochester Lancers. Ma era ormai a fine carriera e non la trovò.
A Ferrara colse i primi successi un giovanissimo Albertino Bigon (scudetto, 3 coppe Italia e 1 Coppa delle Coppe da giocatore nel Milan; scudetto da allenatore con Maradona a Napoli e col Sion in Svizzera. Padre di Riccardo, attuale diesse del Bologna); il più maturo bomber di Serramazzoni, Gianni Bui, vicecapocannoiniere della serie A alle spalle di Riva nel 1969 con la maglia del Verona; il principino di Posillipo Gianni Improta, che una volta tornato al Napoli per anni dovette marinare il ritiro al sabato perché regolarmente impegnato in battesimi, cresime e comunioni. Tutti lo volevano come padrino! E anche “il ribelle” Alberto Reif, figlio di Gianni, giornalista molto noto in quel periodo per essere un pezzo da novanta del Guerino e tra le altre di Sport Sud, una testata napoletana molto nota negli anni Sessanta) che avrebbe anche indossato il nerazzurro dell’Inter e della nazionale under 23. Reif, deceduto qualche anno fa per tumore, ricordava come un incubo il periodo trascorso in nerazzurro con il paraguayano Heriberto Herrera allenatore che staccava le lampadine nelle stanze dei ritiri “perché di notte si deve dormire”. Inutile dire che quella disciplina così rigida poco sfagiolava anche ai senatori Corso, Mazzola, Facchetti e Boninsegna che costrinsero il presidente Fraizzoli a esonerarlo per vincere poi lo scudetto del 1971 con l’allenatore delle giovanili Invernizzi detto Robiolina. Pasetti e Reja finirono al Palermo, Paolino Stanzial alla Fiorentina, Righetti, suppur per poco, all’Inter. Mentre Gianfranco Casarsa, centravanti, il primo a battere i rigori da fermo, fu forse l’unico giocatore passato per le mani di Paolo Mazza che la Spal non seppe far fruttare in moneta sonante. Prima di affermarsi alla Fiorentina infatti dovette passare per Bellaria e Bari. Fece debuttare il duo Buriani-Tosetto che sarebbe poi finito al Milan dal Monza e il regista Del Neri che avrebbe fatto carriera con Foggia e Samp prima di diventare un tecnico ricco e conosciuto, oggi alla guida dell’Udinese. In quel periodo segnò un sacco di gol Cina Pezzato, che in A fece appena a tempo a debuttare per poi esplodere nelle serie minori.
Il grande rammarico della Spal e di Mazza è stato quello di non aver ingaggiato Gigi Riva dal Legnano. Il Commendatore Mazza, il giorno stesso in cui il collega del Cagliari Andrea Arrica aveva trovato l’accordo con la società lilla, prese De Bernardi dalla Pro Patria. I due dirigenti si trovavano a Roma per una partita della nazionale juniores in cui erano impiegati i due attaccanti. “Oggi abbiamo giocato al rosso e nero – commentò Mazza rivolto ad Arrica – vedremo chi ci prenderà”. Fu un azzardo che fece grande il Cagliari.












