Un settore che non sembra conoscere crisi a Cagliari? Quello del sushi, che si porta dietro altri piatti orientali, tra ravioli e alghe fritte, pollo alle mandorle e salsine varie. E tutto, quasi sempre, gestito da cinesi o giapponesi. Sono una quarantina i ristoranti nella sola Cagliari, sparpagliati tra il centro storico e la zona a ridosso del Poetto. Con la formula dell’ “all you can eat” che, poche defezioni a parte, resta ancora quella preferita: a pranzo si parte dal 16,90 euro, a cena si arriva anche a sfiorare i venticinque dal lunedì al venerdì. Sabato e domenica l’aumento di almeno due euro è diventato la regola aurea dei gestori orientali, che in qualche caso sono in affari con sardi. E chi può si è anche organizzato con l’asporto, facendo buoni numeri: in questo caso il “mangia quanto vuoi” è un miraggio, si paga ogni singolo piatto fatto al momento nelle cucine. E ciò che spicca è, sicuramente, la capacità di reinventarsi in caso di problemi. O, semplicemente, di passare totalmente la mano, perchè tanto la domanda non manca, anzi. Come nel caso di via Sonnino, dove un ristorante che proponeva anche un simpatico robot addetto al trasporto delle pietanze aveva chiuso a fine ottobre. Dopo meno di due mesi, altri cinesi hanno rialzato la serranda, cambiato nome all’insegna e sono partiti con un menù “all you can eat” con tanto di promozione per gli studenti: ogni cinque menù, uno è gratis. Il silenzio e i metri quadri vuoti hanno regnato davvero poco, in un punto dove comunque il passaggio non è sicuramente alto e dove, in passato, almeno altri due ristoranti, uno gestito da italiani, aveva dovuto chiudere e trasferirsi altrove. Altro caso eclatante è quello del sushi, però alla carta, in un ristorante in via Baylle: ti siedi e paghi ogni singolo piatto, decidendo le quantità ma non il prezzo finale.
Situazione simile a quella proposta da uno storico ristorante cinese in via San Benedetto: menù che comprende un certo tot di piatti a meno di venti euro, chi ha molta fame mette in conto di spendere di più, e le bevande come sempre sono escluse. E così, tra sushimen rigororamente cinesi o giapponesi, sorrisi e bacchette monouso in legno, ecco uno spicchio di ristorazione che continua a sorridere e macinare affari e scontrini. Al punto che, ormai da tempo, per mangiare il sabato e la domenica il conto sale di due euro. Proteste? Sicuramente poche, visto che nessun ristoratore ha ritoccato al ribasso la tariffa del fine settimana. Tavoli? Quasi sempre tutti pieni.











