Dieci paesi nell’Oristanese in ginocchio. Un cerchio immenso di fuoco in 24 ore di terrore. Il bilancio, ancora parziale, è drammatico: 1500 persone sfollate, che temono di perdere le loro case chissà dove, che non sanno dove passeranno la notte. Oltre 20mila ettari di Sardegna andata bruciata, annerita, devastata, distrutta. La solita cartolina di luglio dall’estate dei piromani senza cuore questa volta si prende tristemente la ribalta nazionale. Il Presidente della regione, Christian Solinas, sta coordinando le operazioni legate dello spegnimento degli incendi dalla sala operativa della Protezione civile.
Alle 19 è iniziata una riunione straordinaria della Giunta per dichiarare lo stato di calamità. La riunione è aperta ai sindaci di Cuglieri, Sennariolo, Tresnuraghes, Flussio, Modolo, Tinnura, Suni, Santu Lussurgiu, Scano Montiferro, Sagama, Macomer, Arzana e Villagrande. Solinas questa volta non usa mezzi termini: “Si tratta di un disastro senza precedenti. Diecimila ettari di vegetazione distrutti, aziende e case bruciate, bestiame ucciso”, e sono proprio le immagini dei poveri animali finiti nella morsa del fuoco a fare il giro dei social, a testimoniare ancora una volta di più quanto possa essere senza cuore la mano dei piromani per quella che sembra un’azione terroristica, pianificata nei dettagli.
Perché il Montiferru in fiamme con tanti paesi colpiti non solo non può essere un caso, ma mai da queste parti si ricordano ora di terrore così. Non sono bastati 7500 uomini in campo, tra i quali molti volontari. La Sardegna è stata costretta a richiedere aiuto ad altri Paesi europei per avere qualche Canadair in grado di fronteggiare la veloce, paurosa avanzata delle fiamme verso i centri abitati. Le cronache parlano di decine di famiglie in lacrime che rischiano di perdere tutto, in un’Isola già gravemente in difficoltà per il ritorno dell’emergenza Coronavirus. 27 anni dopo l’ultimo maxi incendio, il Montiferru è tornato al centro di una tremenda piramide di fuoco che ha avvolto dieci paesi, distrutto le campagne, circondato e avvolto le strade, rendendo difficili anche le vie di fuga. A Cuglieri, a Sennariolo e a Porto Alabe (dove è stata scattata la foto che vedete, del nostro lettore Sandro) si correva da una parte all’altra per cercare un rifugio, con gli abitanti letteralmente inseguiti dall’avanzata di fiamme altissime nella notte più nera dell’estate sarda. A finire bruciato anche l’olivastro da sempre simbolo di Cuglieri: si chiamava Sa Tanca Manna, aveva 2000 anni.
Si sprecano, intanto, le richieste di solidarietà e interventi immediati. “Dichiarazione di calamita’ e ristori immediati per chi ha subito danni dagli spaventosi incendi di questi giorni in Sardegna. In particolare per agricoltori e allevatori, messi in ginocchio dalla furia delle fiamme che ha devastato le loro aziende”. Lo dichiara Andrea Frailis, deputato del Partito democratico e componente della commissione Agricoltura della Camera. “I terribili roghi di questi giorni – prosegue Frailis – richiedono interventi rapidi e unita’ di intenti tra Regione, governo e Parlamento. Noi deputati democratici siamo pronti a sostenere in tutte le sedi istituzionali un piano urgente di aiuti per l’emergenza ma anche un progetto di piu’ ampio respiro, che preveda articolate ed efficaci azioni di prevenzione e interventi per scongiurare il dramma di questi giorni”
Claudia Zuncheddu, del Movimento Sardigna Libera, fa un viaggio anche tra le prime possibili colpe dell’ennesimo disastro del fuoco annunciato: “Di fronte all’ennesima emergenza incendi, tra cause e concause, sicuramente dobbiamo fare i conti con il progressivo abbandono delle campagne e la conseguente perdita di un controllo naturale del territorio. Lo spopolamento in Sardegna non può essere solo un tema per salotti radical chic, né la vendita delle case a un euro, né il solito convegno con richieste a chi governa di “elemosine” e commiserazioni.Gli incendi nei territori è un dramma ciclico su cui le istituzioni di ogni ordine e grado, continuano a latitare garantendo nelle migliori delle ipotesi, limitati piani operativi e assunzioni a scadenza.
La crisi economica in questi anni ha spinto migliaia di aziende agro-pastorali alla chiusura o ad un drastico ridimensionamento. La gente fugge dai territori non solo per la crisi, ma anche per la mancanza di servizi essenziali che promuovano l’aggregazione e una vita dignitosa, come i servizi sanitari pubblici, la scuola e il lavoro con un’impresa diffusa e rispettosa delle vocazioni produttive, sociali e culturali dei luoghi. Fugge perché nel nostro territorio mancano persino i mezzi di trasporto per poter espletare l’obbligo scolastico.
La desertificazione che avanza non è solo fisica ma anche culturale, scientifica e identitaria. Questa desolazione è la prima miccia che innesca gli incendi in Sardegna. Per la sicurezza dell’Ambiente e dei territori con le loro comunità, i Canadair e altri supporti aerei sicuramente sono necessari, ma non bastano. Da sempre gli incendi si sono combattuti principalmente da terra con uomini addestrati, conoscitori degli habitat e dotati di mezzi di supporto adeguati.
La battaglia si può vincere solo se si mettono i comuni, le comunità locali, le compagnie barracellari e le associazioni di volontariato, in stretta collaborazione con gli organi preposti della Regione Sardegna e dello Stato italiano, nella condizione di garantire la prevenzione, il controllo e l’intervento rapido sul territorio tutto l’anno. Le emergenze per i cambiamenti climatici con dissesti idrogeologici e alluvioni sono ormai all’ordine del giorno.
Bisogna ripensare e riprogrammare un piano d’intervento coordinato in tutto il territorio, ma queste operazioni non possono sopravvivere con regalie una tantum o con resti di bilancio. Intanto dalle alte sfere, mentre la Sardegna brucia, ancora una volta si indugia attendendo la miracolosa alzata in volo dei Canadair”. Per la cronaca, la giunta regionale sarda ha appena proclamato lo stato di emergenza.












