Di Jacopo Norfo
Pastori sardi pronti a restituire le schede elettorali, in segno di protesta. Perchè la situazione nelle campagne è insostenibile, e la sindaca di Fonni avverte: “L’Isola non può permettersi di perdere neanche un pastore”. Uno sfogo condivisibile, quello del primo cittadino Daniela Falconi che su Fb racconta: “Giovedì a mezzogiorno i pastori di Fonni, così come hanno fatto i loro colleghi dei paesi vicini e come faranno altri e altri ancora riconsegneranno al sindaco (a me, ndr) le loro schede elettorali in segno di protesta. E contemporaneamente chiederanno a tutti i cittadini di essere vicino a loro lungo questa strada facendo lo stesso.
Prima di giudicare o no il gesto che può essere o meno condivisibile io credo sia utile prima di tutto fermarsi a ragionare. Ragionare su quali siano i motivi che portano ad una forma di protesta così inusuale per questo comparto, che sta coinvolgendo centinaia di persone. Protesta che così, in prima battuta, fa pensare quale dev’essere lo stato d’animo se si è disposti a rinunciare al diritto forse più “alto” che ogni cittadino possiede: il voto.
Intanto una prima considerazione: vengo dalla seconda assemblea in pochi giorni che ha coinvolto oltre 50 allevatori fonnesi. A mia memoria, era da decenni che non succedeva.
Cinquanta allevatori, cinquanta compaesani, cinquanta famiglie che in modo del tutto spontaneo si sono riunite per parlare del loro lavoro, confrontarsi sui problemi, proporre soluzioni. Questo è l’elemento principale di quel che sta succedendo in Barbagia e si sta allargando ad altri territori in Sardegna in questi giorni: i pastori, gli allevatori, gli agricoltori si stanno riunendo a decine (non se ne parla abbastanza nei media, ma questo, ahimè è un altro discorso). Non in contrapposizione a chicchessia ma per urlare forte che la situazione delle campagne sta diventando insostenibile. Non si cercano ne colpevoli ne false promesse (che di questi tempi, poi…): si chiedono soluzioni con un documento che saranno loro stessi a divulgare nei prossimi giorni ma che a grandi linee contiene alcune cose:
I ritardi assurdi nel pagamento dei premi comunitari, le calamità naturali dell’ultimo anno, la burocrazia (che si chiama buronospera) asfissiante, lo stato di lavoro in territori montani, aspri, difficili che non viene adeguatamente riconosciuto sono solo alcune delle recriminazioni trasformate in proposte fondanti che arrivano dal mondo delle nostre campagne.
Quindi, che fare?
Io, da minuscolo sindaco di montagna faccio con loro e spero non solo con loro un piccolissimo e semplice ragionamento:
Nelle nostre comunità non ci possiamo permettere di perdere un solo pastore. Per l’economia che producono, per la storia del nostro paese, per il controllo e il presidio delle campagne ma soprattutto perché i pastori rappresentano, spero ancora per tantissimo tempo, la base non solo della nostra economia ma anche della nostra cultura. No, non sono tra quelli che dicono “siamo tutti pastori”. Io non sono pastore, e qualcuno ridacchierà pure conoscendo il mio lavoro che ho momentaneamente accantonato per dedicarmi al paese per qualche anno. Non siamo tutti pastori ma se nei nostri paesi muore la pastorizia possiamo anche chiudere tutte le porte e andarcene via. Vogliamo un’agricoltura migliore, un allevamento che faccia filiera, una terra che sia accogliente per i giovani e respingente per gli speculatori. Questo vogliamo, anche se non siamo tutti pastori.
Io non so se la consegna delle schede elettorali sia giusta o sbagliata, so che insieme all’Amministrazione siamo dalla parte dei nostri paesani senza nessun dubbio, so che difendiamo come possiamo e con tutte le possibilità che il ruolo “pro tempore” offre la loro richiesta di aiuto e cercando in ogni modo di trovare soluzioni e non creare problemi.
Ed è importante, credetemi, che se ne parli.
Anche in campagna elettorale, che tanto siamo perennemente in campagna elettorale e se usiamo sempre questo disco rotto che siamo in campagna elettorale non parliamo mai di nulla”.











