Il Pd si incavola, in burocratese stretto da prima repubblica ma s’incavola. La Todde minimizza facendo infuriare ancora di più il primo partito dell’alleanza e della coalizione. E i 5 stelle, replicando il modello nazional popolare messo a punto da Conte, anche in Sardegna, di fatto sfasciano l’alleanza con i dem. Non siamo ancora alla rottura definitiva ma ci manca poco: quello che è accaduto domenica scorsa è clamoroso, non solo politicamente, e ancora di più perché accade dopo appena un anno di legislatura: la presidente Todde, come aveva fatto sapere facendo scattare un tardivo allarme rosso, ha deciso di fare tutto da sola sui commissari delle asl, scegliendone i nomi senza condividerli con il Pd. Che è il primo partito alleato e il primo della coalizione, avendo preso il doppio dei voti dei 5 stelle: finora inutilmente, visto che è rimasto totalmente schiacciato dallo strapotere pentastellato.
Ma tant’è: dopo aver subìto la candidatura della vice di Conte imposta dalle segreterie romane, quando la Todde era in giro da mesi a fare campagna elettorale in tutta la Sardegna e il centrosinistra recitava la parte di chi decide da solo e senza imposizioni quando i giochi erano ormai fatti, il Pd nel primo anno di governo è stato portato dalla governatrice nuorese dove lei ha voluto.
Ma la sanità è la sanità: per i cittadini un quotidiano incubo alla ricerca della sopravvivenza, per i politici un irrinunciabile centro di potere e poltrone. E sulla sanità, quella su cui Conte e la Todde hanno impostato l’intera campagna elettorale in Sardegna, si è consumato il primo, forte, profondo strappo in coalizione: la Todde nomina i commissari nonostante la richiesta del Pd di frenare, il Pd firma un comunicato stampa per dire che loro non sono della partita. E che dunque la Todde sulla sanità, e forse non solo, dovrà fare tutto da sola.
Ma lo strappo del Pd, molto più grave di quello che viene raccontato, non preoccupa la Todde, decisa ad andare avanti nonostante le pesantissime parole degli alleati. Che sia ancora strategia o valutazione politica sbagliata, si vedrà. I dem intanto stanno a guardare: la riforma della Sanità, per il PD, deve passare per un ripensamento complessivo, dicono. Dalla valorizzazione della medicina territoriale alla formazione del personale, dal nuovo sistema di nomina dei direttori generali a una reale integrazione tra servizi sociali e sanitari, soprattutto in vista dell’invecchiamento della popolazione. Troppo poco, quindi, secondo il PD, limitarsi alla sostituzione dei vertici con commissari temporanei. Per di più se la scelta dei nomi non viene neanche condivisa.












