di Edoardo Scarpetta
L’uomo aspira normalmente a vivere in pace, ma l’homo-economicus o in termini più diretti chi governa l’economia la pensa sempre cosi? Orienta le proprie decisioni in tal senso?
La domanda ha già una risposta morale, o come direbbero gli americani “ Political correct” che e’ no , ma l’economia pura, quella dei modelli economici a volte si scontra con cio’ che e’ morale e il trade-off ( cioe’ la scelta ) tra economia di guerra o economia di pace si orienta a favore della prima.
Ripercorrendo la storia dell’economia si scopre che le piu’ grandi fortune di alcune nazioni, anche se talvolta di breve durata ed effimere , sono derivate e derivano essenzialmente da periodi di occupazione coloniale , da guerre locali e mondiali, da investimenti preventivi in armamenti, dalla vendita degli stessi .
La guerra puo’ considerarsi in termini di attualita’ , quella del momento ma anche con una visione prospettica e potenziale , cioe’ quella del futuro che magari non si farà mai.
E’ innegabile che le piu’ grandi scoperte scientifiche e tecnologiche ( in termini esclusivamente economici) hanno quasi tutte una matrice militare e natura bellica e sono state finanziate dagli Stati sovrani gia’ molti anni prima della loro effettiva applicazione pratica e con somme che aggregate avrebbero potuto forse risolvere il problema della fame nel mondo. Un esempio fra tutti la bomba atomica.
Appare quindi lecito domandarsi:
il Prodotto interno Lordo, cioe’ la misura riconosciuta e tradizionale della crescita o decrescita della ricchezza delle nazioni puo’ solo quindi avere benefici?
E quali nazioni, quali regioni del mondo ne traggono maggiori vantaggi ? quelle ricche o quelle povere
I settori dell’economia si muoveranno tutti insieme ? Sarà una crescita di breve o di lungo periodo?
I benefici di oggi possono diventare gli svantaggi di domani?
L’economia si muove tramite shock ed equilibri che si alternano senza pause … la guerra , la sola ipotesi di una guerra, la previsione dei danni di guerra valutati come costo di ripristino post bellico( per esempio a titolo di ricostruzione delle infrastrutture) potrebbe indurre l’uomo economico e politico a decidere , per cercare lo sviluppo economico e quindi un buon bilancio nazionale , di sostenere un’impostazione di economia di guerra anzichè di pace
Ma questo sviluppo può sempre dichiararsi sostenibile?
Qui corre l’obbligo di richiamare il ruolo che la nostra Isola ha da sempre avuto in termini di basi militari Nato e nazionali e a volte di vere e proprie servitù militari , e sottolineo la parola servitù’.
Un tributo che puo’ sicuramente avere portato qualche vantaggio di breve periodo come per esempio una maggiore ,ancorchè contenuta, occupazione temporanea ma che ha anche significato per esempio una vasta riduzione del territorio disponibile per altre attività’ che quindi non hanno trovato una corretta allocazione , problematiche di tipo ambientale che oggi sono sotto gli occhi di tutti , riconversioni difficili in termini di occupazione , etc.
L’analisi costi-benefici fatta sulla nostra isola porta a un’amara conclusione: forse non e’ proprio convenuto almeno nel medio lungo termine , neanche in termini di benefici immateriali , come quelli di una maggiore considerazione della nostra isola a livello di politica nazionale per ottenere contropartite economico –occupazionali .
La ricchezza di una nazione, di un popolo , e dello stesso singolo uomo e’ da ricercarsi oltre che in valori di tipo statistico-economico anche nella crescita etico -morale, istituzionale, culturale , sociale che solo la pace , la convivenza e la tolleranza possono dare all’uomo moderno .













