Il telefono usato dopo averla uccisa per mandare messaggi a parenti e amici, la chat trappola con le colleghe, e poi i giri in macchina sul luogo del delitto, la carta di credito usata per comprare le piante con cui coprire il cadavere. E ancora, il borsone nero comprato dai cinesi e il tentativo di vendere il divano dove la sera del 10 maggio ha ucciso la moglie Francesca Deidda, 42 anni, fingendo poi un suo allontanamento volontario dalla loro casa di San Sperate per provare a superare un momento di crisi. Gli elementi raccolti a suo carico dagli inquirenti sono stati da subito schiaccianti, ma Igor Sollai, camionista di 43 anni, per sei mesi ha negato di aver ucciso sua moglie, arrivando a scrivere una lettera per il fratello di lei in cui si dichiarava innocente e gli chiedeva di incontrarsi. Ieri notte, dopo un interrogatorio fiume con il sostituto procuratore Marco Cocco, la confessione. Manca solo il movente, elemento che sarà chiarito nel prossimo interrogatorio: l’ipotesi è che Sollai volesse impossessarsi della casa e del premio dell’assicurazione sulla vita da centomila euro che i due avevano reciprocamente sottoscritto per rifarsi una vita con la donna che frequentava da un anno.
La scomparsa di Francesca, 43 anni, risale al 10 maggio scorso, quando la donna sparì misteriosamente da San Sperate. I suoi resti furono ritrovati solo il 18 luglio successivo, in un borsone abbandonato nelle campagne tra Sinnai e San Vito, vicino alla vecchia statale 125. Fino a ieri, Sollai si era sempre dichiarato estraneo alla morte della moglie, ma le prove raccolte dagli inquirenti avevano progressivamente incrinato la sua versione.
L’autopsia sul corpo di Francesca ha confermato che la donna fu uccisa nel sonno, mentre era sdraiata sul divano di casa. Le ferite alla testa, infitte con un oggetto contundente, le sono state fatali. Dopo il delitto, Sollai aveva cercato di vendere il divano, comportamento che aveva insospettito gli investigatori. L’arma del delitto non è ancora stata ritrovata.
Inoltre, le indagini con i tracciamenti satellitari hanno rivelato che l’uomo si era recato più volte nei pressi del luogo dove i resti di Francesca furono poi ritrovati. Era stato anche individuato attraverso la carta di credito mentre acquistava alcune piante, verosimilmente per coprire il cadavere. Nel frattempo, mentre continuavano a ricevere messaggi dal telefono di Francesca, le colleghe del call center dove lavorava hanno mandato un messaggio trappola, inventando il nome di una collega mai esistita: Sollai era caduto in quella trappola, e questo è stato un elemento determinante per l’evoluzione delle indagini.
Lo scorso 18 novembre, la Cassazione aveva respinto la richiesta di concedere gli arresti domiciliari a Sollai, confermando la decisione del tribunale del riesame.










