Cinque figli, i primi tre nati quando quel posto da “amministrativa” all’interno di un’azienda privata con sede nel Sud Sardegna non era ancora suo. La quarta gravidanza, invece, è arrivata mentre aveva un contratto: “Inquadramento di quarto livello, questa era la mia posizione quando mi sono messa in maternità. Al mio rientro al lavoro sono stata demansionata, passando dall’occuparmi di aspetti fiscali ed export a scansioni al pc e, addirittura, pulizie”. Inizia così il racconto di una 38enne sarda, Francesca (che chiede di manterere l’anonimato), sposata e mamma di cinque figli: “Mamma felice, nonostante tutto. I miei ex titolari erano arrivati a mandarmi a lavorare in un settore non di mia competenza. Sono stata male, sono finita pure dallo psicologo e, tra febbre e vomiti mi sono messa in malattia. Il 31 dicembre di due anni fa ho dato le mie dimissioni, denunciando quello che ai miei occhi è stato un mobbing bello e buono, e lottando anche per ottenere crediti, non versati in busta paga, per un totale di quasi trentamila euro. Purtroppo è intervenuta la prescrizione, alla fine ne ho avuti appena un decimo. Per il mobbing non ho potuto fare nulla, all’ispettorato del lavoro non mi hanno preso neanche la denuncia”.
Colpa “dei sindacati, non sono ancora totalmente attrezzati quando si tratta di intervenire per casi complessi come il mio. Da due anni spedisco curriculum ovunque, mi propongono solo paghe senza contratto e allora rifiuto”, afferma Francesca, “se per far valere i miei diritti ho messo al primo posto, giustamente, la mia dignità di donna, non voglio certo cedere a compromessi proprio sul lavoro. Che ho perso, alla fine dei conti, ma meglio dire addio a quello che alla tranquillità di potersi specchiare, ogni giorno, senza nessuna vergogna”.












