Un femminicidio, l’ennesimo, quello di Marisa Pireddu, 51 anni, residente a Serramanna, avvenuto ieri sera presso la sua abitazione in via Turati, che ha sconvolto non solo l’intera comunità del centro del Medio Campidano. La notizia della tragica scomparsa della donna inevitabilmente è stata ripresa a livello nazionale. Dolore, ma anche tanta rabbia per questa assurda tragedia; in paese questa mattina si respira un’aria colma di sofferenza. In coda per entrare nei negozi, non si ha tanta voglia di parlare se non per unirsi al dolore dei familiari per la perdita di una mamma dolce e sempre presente, una donna gentile, riservata e ben voluta da chi la conosceva. L’ennesima vittima di un dramma che purtroppo si ripete tante, troppe volte. Marisa come Alessandra, 47 anni di Milano, e come Lorena, 27 anni di Agrigento, anche loro strappate via alla vita, poche settimane fa, dalle mani dell’uomo con cui condividevano la loro vita.
“È amore quando stai bene, sei serena. Se soffri e non sei felice, non è amore ma dipendenza affettiva” afferma con forza Jessica Notaro. E chi meglio di lei potrebbe capire le donne vittime di un sentimento malato. Sfigurata dall’acido che il suo ex fidanzato le ha gettato addosso, oggi lotta instancabilmente con forza e tenacia affinché si lavori a 360 gradi perché queste tragedie possano essere evitate, arginate.
“Se un uomo vi alza la voce – non si stancherà mai di ripetere Francesca Marongiu, blogger che da anni lotta per sensibilizzare le donne a non soccombere alla violenza – vi impone costantemente il silenzio, vi toglie l’amicizia, la libertà economica e personale, vi mette le mani addosso, non è perché vi ama troppo ed è geloso, è perché è una MxxxA SCHIFOSA e dovete fuggire immediatamente da lui”.
“Questa è una di quelle notizie che sentiamo troppo spesso nei telegiornali e che sembrano così lontane dalle nostre vite – spiega Manuela Ortu, di Serramanna, impegnata anche nel sociale – la cronaca è piena di storie di donne che hanno denunciato e cercato aiuto, eppure sono state uccise. Perché non credo che la soluzione siano solo le campagne per convincere le donne a denunciare.
Il problema sta certamente nell’idea, ancora molto radicata in certi uomini, che le loro mogli non possano essere autonome sia economicamente che culturalmente. Forse c’è un errore d’impostazione nella loro educazione da bambini? E poi, quando arrivano a denunciare, chi le protegge, chi le aiuta? Le istituzioni cosa fanno oltre a spendere per l’organizzazione delle varie campagne pubblicitarie? Di solito si dice che nel momento del dolore è meglio evitare le polemiche, ma questa non è fine a se stessa. A poco servono le iniziative organizzate per l’8 marzo e a poco serve dire che episodi del genere non si erano mai verificati”.
Il pericolo che, durante questi mesi di isolamento sociale, si potessero verificare gravi episodi di violenza domestica, è stato avvertito anche dal Governo che “a seguito dell’interlocuzione con la Ministra per le Pari Opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese – si legge nel testo pubblicato il 24 marzo 2020 – ha inviato una Circolare a tutte le Prefetture perché, a seguito delle difficoltà riscontrate in questa gravissima emergenza nell’accogliere delle donne vittime di violenza, possano essere individuati e resi disponibili ulteriori alloggi, con la garanzia della necessaria sicurezza sanitaria.
Nella Circolare del Ministro dell’interno si rimarca che le misure adottate dal Governo e i relativi obblighi sul rispetto del distanziamento sociale (isolamento dei malati, quarantena dei soggetti esposti, misure per i luoghi di lavoro, divieto di assembramento) per contenere la diffusione dell’epidemia da Covid-19, possono ripercuotersi sull’operatività dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio, strutture destinate a offrire accoglienza, tutela e sostegno alle donne vittime di violenza nei territori.
Per superare tali difficoltà, con la Circolare si invitano i Prefetti, con il coinvolgimento dei Sindaci e delle associazioni che operano sul territorio, ad individuare, o a confermare laddove già esistenti, nuove soluzioni alloggiative, anche temporanee, nelle quali offrire ospitalità alle donne vittime di violenza che per motivi sanitari non possono trovare accoglienza negli esistenti Centri Anti Violenza e nelle Case Rifugio”.
In Emilia Romagna il governatore Stefano Bonaccini ha promosso una interessante iniziativa. È stata istituita una frase in codice da sussurrare in farmacia, ossia “voglio una mascherina 1522”, che permette al farmacista di capire che il problema non è inerente al covid-19.
Una piaga, quella della violenza sulle donne, che soprattutto in questi mesi di quarantena è dilagata in maniera esponenziale. Le denunce ai centri antiviolenza sono aumentate del 74,5% durante il lockdown; in Messico, in questi ultimi mesi, ogni giorno vengono uccise in media 10 donne. Una sconfitta per la società che non conosce confini, che in genere viene consumata dentro le mura domestiche per mano di chi non rivolge più abbracci e carezze e ha sostituito questi semplici ma importanti gesti con rabbia e inaudita violenza, psicologica e fisica.












