“Nessun taglio del nastro nel Padiglione 41bis della Casa Circondariale “Ettore Scalas” di Cagliari-Uta. Nella struttura, che una settimana fa è stata consegnata al Ministero delle Infrastrutture per il completamento delle aree di servizio, non è ancora iniziato alcun intervento. Ciò significa che non c’è stata alcuna inaugurazione il 20 marzo scorso”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme ODV” facendo osservare che “il Ministro Nordio è stato male informato in merito alla situazione di Cagliari-Uta, anche perché allo stato attuale i detenuti del 41bis non possono essere ospitati senza matricola, area sanitaria e arredi”.
“Il problema – sottolinea – non riguarda solo gli Agenti del GOM (Gruppo Operativo Mobile) che dovrebbero prendere servizio nella struttura e disporre della Caserma, ma bensì la realizzazione delle opere di servizio che nel progetto originario avevano dimenticato. Del resto il Padiglione del 41bis di Cagliari non farebbe altro che accrescere il numero dei detenuti di spessore criminale in una regione che ne ospita già 90 nella stessa condizione di massima sicurezza a Sassari-Bancali (pur senza Direttore e Comandante). Né si può dimenticare che i 41bis si trovano perfino nella Casa Circondariale di Badu ‘e Carros a Nuoro, ancora in attesa di una direzione stabile”.
“Dispiace infine osservare che il Ministero della Giustizia e il Dipartimento continuano a considerare la Sardegna come una terra di nessuno. Le carceri isolane infatti a Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano e Tempio ospitano anche detenuti dell’Alta Sicurezza (oltre 500 persone), ristretti cioè che sono da poco tempo usciti dal percorso del 41bis. Le Colonie Penali – osserva ancora l’esponente di SDR ODV –continuano a non essere utilizzate per offrire occasioni di lavoro e professionalizzanti. Niente di concreto invece ci sembra di vedere all’orizzonte per contenere l’alto rischio suicidario e i quotidiani gravi atti di autolesionismo dentro gli Istituti. Accrescere il numero degli psicologi è un segnale troppo debole laddove le condizioni detentive non consentono di attivare progetti trattamentali per la carenza di tutte le figure professionali e per la presenza di persone con gravi disturbi della sfera psichiatrica. Dopo oltre 30 suicidi, dire che non c’è più tempo significa – conclude Caligaris – trovare soluzioni coraggiose se non di pietà almeno di ragionevolezza.