Rimosse le transenne, la via Roma delle meraviglie è pronta a stupire il mondo. L’aspetto più dirompente è il dimezzamento della strada, un lavoro immane, che ha assorbito tempo ed un oceano di risorse. Il resto è il rifacimento dei giardini e dei sottoservizi, indiscutibile e ovvio a chiunque. Prato e fiorellini a parte, balza agli occhi lo stravolgimento dell’intero impianto monumentale; non che la strada debba prevalere sulla passeggiata, ma in questo caso, il maestoso lastricato, il più importante della Sardegna, meritava più tutela, sia per preservare il patrimonio architettonico, sia per mantenere uno spazio idoneo ai grandi eventi. In questa prospettiva, la buona amministrazione, anziché smantellare la strada lastricata, avrebbe dovuto sistemare quella al lato del porto, che versa in uno stato di pietoso degrado, ma nell’assordante silenzio è stato fatto esattamente il contrario. Camminando tra le belle e lunghissime aiuole, si nota l’assenza di passaggi intermedi, la sensazione è di chiusura, una scelta alquanto discutibile.
Sul lato opposto, percorrendo il sottoportico, la vista è schiacciata dalla fila di dissuasori in cemento; i cespugli ornamentali sono alti, creando un diaframma che mura la vista sulla passeggiata. Il tutto ruba luce e tappa la Marina, ne è prova l’ultimo pezzo, più largo e decisamente più luminoso. Con disappunto, si rileva l’inesistenza di spazi dedicati allo svolgimento di ricorrenze e celebrazioni della Chiesa di San Francesco da Paola. Procedendo in direzione piazza Matteotti, si passa da un’ingenua atmosfera di provincia, con i tavoloni da pic-nic per le allegre scampagnate, ad un contesto più urbano, suggellato da uno spartitraffico inerpicato sulla carreggiata. Sintetizzando, l’opera dell’archistar, inizia con la strada larga, poi si restringe, quindi si appiattisce, poi si allarga di nuovo, infine s’impenna per acciuffare il livello stradale del Largo; il tutto disegna una sorta di rientranza verso i portici, tra leziosi passaggi stilistici e pezzi di alta architettura, roba per palati fini. Per i meno sofisticati, il tratto originario, ancora intatto (per fortuna), lascia pochi dubbi sull’eleganza del lastricato, dove le giuste distanze con Palazzo Bacaredda, disegnano un insieme architettonico di notevole pregio, la bella cartolina della città. Ora passiamo a ragionare con chi via Roma la mastica da anni, tra questi c’è il gruppo dei sodali al progetto, che esulta per l’eliminazione dei parcheggi ed accoglie con favore un po’ di verde in più, insomma il progetto piace. Altri lo ritengono una barbara deturpazione, un lavoro in gran parte inutile e autocelebrativo, una forzatura architettonica senza senso, scontata, e di cattivo gusto.
Tra questi estremi ci sono i “neutrali”, che non si sbilanciano in giudizi negativi ma evitano i toni encomiastici, forse perché si aspettavano qualcosina in più anche loro. Le fontane, la suggestiva illuminazione dei palazzi, la sistemazione della strada al lato del porto, e la messa in sicurezza dei passaggi pedonali sono rimasti chiusi nel cassetto dei sogni, perché lo sforzo si è incentrato a smontare migliaia di pietre disgraziate per recuperare pochi metri di marciapiede e piantare qualche albero. Il resto parla da sé, i vecchi marciapiedi rimangono sgangherati e coperti da luridume, il sottoportico è poco illuminato, nel frattempo i disagi sono aumentati enormemente, e la strada lato porto rimane dissestata; il tutto ammannito dalla retorica delle altalene piazzate in uno spazio grottesco, anziché nell’adiacente Piazza Ingrao. Le aspettative erano altissime, siamo d’accordo, ma si poteva fare molto di più con quella montagna di soldi, serviva semplicemente un progetto brillante, più conservativo e meno invasivo, ma soprattutto occorreva ascoltare, anziché affidarsi ciecamente a personaggi forse un tantino sopravvalutati.










