Ha dovuto attendere un mese e mezzo in più rispetto al “via libera” dato dal Governo sulle riaperture delle attività commerciali. Lui, Luciano Incani, tra i primi ristoratori del Corso Vittorio oltre vent’anni fa, ha anche pensato di non farcela. Posti in meno, una “geografia” interna del suo locale di viale Sant’Avendrace da riscrivere totalmente. E, con la crisi legata al Coronavirus ancora ben presente, il rischio di dover tenere le serrande abbassate per sempre c’è stato: “Ma mi sono impegnato. Ho realizzato i nuovi tavoli a mano”, racconta Incani. Su Facebook ha postato un video mentre, armato di motosega, taglia la legna utilizzata per creare un bel po’ di quei tavoli nuovi, e distanziati, che gli hanno permesso di riaprire: “Il supporto della mia famiglia è stato importante. Non ho avuto nessuna emergenza con le banche ma anche nessun contributo. Mi sono dovuto rimboccare le maniche”. I tre mesi chiusi? “Tremendi, è mancato tutto”. E, a lockdown terminato, sono aumentate le telefonate dei clienti: “Mi chiamavano tutti i giorni, dalla stradale ai carabinieri ai vigili alla protezione civile: tutti mi chiedevano quando avrei riaperto”.
In una città votata al food, il suo ristorante è tra gli ultimi ad aver riaperto dopo i mesi di “quarantena” da Coronavirus. Con circa venti posti in meno: “Mi sono dovuto organizzare seguendo la legge. Non mi posso lamentare, ci sono stati momenti bui e, ora, un pochettino si rivede la luce”, afferma il ristoratore. “Sono tornato ad essere il bomber di Sant’Avendrace”, osserva, esplodendo in una risata, Incani.