Villaspeciosa, Antonio Addari: ex combattente della 2^ Guerra Mondiale

La storia di un ex combattente, originario di Usellus, ma residente a Villaspeciosa da quasi 50 anni


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di GIULIANA MALLEI

Il signor Antonio Addari (nella foto) è il terzo, e purtroppo ultimo, ex combattente di Villaspeciosa ancora in vita, pur essendo nato ad Usellus, in provincia di Oristano, il 7 settembre 1919. Il padre, Pacifico, faceva l’agricoltore e la madre, Giovanna Pusceddu, gestiva una bottega in cui si vendeva il vino. Il sig. Addari era il sesto di sette figli, venne chiamato Antonio come il suo fratello maggiore, disperso durante la Grande Guerra sull’altopiano di Asiago nel gennaio 1918, a soli 18 anni. Nel marzo del 1940 arrivò per il giovane Antonio la cartolina di precetto, fu inviato a Trieste per l’addestramento nel 151° Reggimento Fanteria Brigata Sassari. Terminato l’addestramento, Antonio si accingeva a partire, con il suo Reggimento, per la Jugoslavia quando giunse la notizia che suo padre era molto ammalato. Gli furono concessi alcuni giorni di licenza per poter tornare in Sardegna e dare l’ultimo saluto all’anziano genitore, subito dopo ripartì e raggiunse il Reggimento a Capo d’Istria, ma poi furono inviati tutti in Jugoslavia, in seguito ad un accordo con gli ústascia della Croazia, dove vi rimasero due anni. In questo frangente Antonio Addari svolse il servizio di attendente del Capitano Berardi Nicola. Cercò sempre di non esporsi ad inutili rischi, nonostante in più di una occasione gli fosse stato proposto di entrare a far parte di un gruppo di “arditi”, come era già avvenuto durante la Grande Guerra. Ma nei ricordi del sig. Addari, questi arditi della Seconda Guerra avevano ben poco da spartire con quelli della Prima. Questi ultimi infatti venivano ingaggiati per missioni che prevedevano obiettivi militari, mentre stavolta si trattava di andare a fare rastrellamenti poco chiari ai limiti dell’illegalità e spesso ai danni dei civili.
Nel 1942 la guerra prese un’altra direzione con l’ingresso nel conflitto degli Alleati americani, chiamati in causa dopo l’attacco a sorpresa effettuato dai giapponesi alla base navale statunitense di Pearl Harbor, nelle Hawaii. Gli Alleati iniziarono un massiccio bombardamento aereo e nel giro di un anno, grazie anche all’intervento delle truppe di terra, si giunse alla fatidica data dell’8 settembre 1943 giorno in cui venne firmato l’Armistizio. L’Italia, liberata a metà, si divideva in due parti: dal centro al sud la guerra era terminata, invece dalla Toscana al nord la guerra doveva ancora proseguire per circa due anni.
Il soldato Addari, l’8 settembre del 1943 si trovava a Cesano di Roma, nei pressi di Bracciano, con il suo Reggimento. La notizia dell’Armistizio creò notevole confusione e si verificò un fuggi fuggi generale, nessuno sapeva cosa doveva fare né dove doveva andare, ma si aveva un’unica certezza: mettersi in salvo dalle eventuali rappresaglie che i vecchi o i nuovi amici potevano compiere. Il Capitano ordinò al suo attendente di fare uno scambio di divise, ma il soldato Addari non obbedì; sapeva infatti che un ufficiale aveva più responsabilità agli occhi del nemico, mentre un soldato poteva essere compatito. Con l’Esercito allo sbando, i singoli soldati non sapevano che fare, fu così che Antonio Addari, assieme al suo commilitone Antonio Serra di Pabillonis, decisero di recarsi a Tolfa, piccola località nelle vicinanze di Roma, dove già erano stati.
In questa località incontrarono per strada una donna che chiese loro di dove fossero, appena seppe che erano sardi si illuminò di gioia: anche lei era sarda di Tonara, ma abitava a Civitavecchia e si trovava a Tolfa da sfollata. Diede loro da mangiare e un alloggio (sopra la stalla dell’asino che era stato appena venduto). Per i due soldati divenne indispensabile smettere gli abiti militari, cosa che fecero immediatamente, e trovare una qualche occupazione per sbarcare il lunario. Vi erano ancora soldati tedeschi a Civitavecchia e cercavano personale per le pulizie dalla caserma, i due furono assunti senza troppe domande. Ben presto i nostri si resero conto che i tedeschi erano ladri matricolati, entravano ovunque sia nelle case che nei monumenti, rubavano oggetti preziosi o artistici e inviavano tutto in Germania. Per questo motivo i due Antonio decisero che anche loro potevano appropriarsi di alcuni oggetti di uso comune presenti nella caserma, come ad esempio biancheria, ciabatte e tende e nascostamente si recavano al mercatino di Campo de’ Fiori a Roma dove vendevano quelle cose per avere in cambio da mangiare e qualche soldo.
Questa vita andò avanti per circa tre o quattro mesi, fino a quando, attraverso i giornali, giunse l’autorizzazione per tutti i soldati sbandati di far rientro alle proprie case. Antonio Addari e Antonio Serra raccolsero i pochi bagagli e raggiunsero Napoli come poterono. Erano i primi mesi del 1945. Dopo alcuni giorni di attesa nei pressi del porto, riuscirono ad imbarcarsi sulla nave per Cagliari. Giunti a Cagliari, i due soldati si presentarono a rapporto e furono inviati alla caserma Monfenera dove Antonio Addari prestò servizio per altri 10 mesi, dapprima come addetto alle cucine e al servizio mensa, poi come attendente di un colonnello che lo volle al suo servizio perché il sig. Addari riuscì a riparare un piccolo guasto all’impianto elettrico della stanza dell’ufficiale. Alla fine del 1945 Antonio Addari fu congedato e poté far rientro a Usellus. Qui ritrovò l’anziana madre, i fratelli Giuseppe – che dopo la morte del padre poté essere congedato perché diventò capo famiglia – e Adamo, le sorelle Teresa, Eva e Jolanda.
Riprese il mestiere di agricoltore fino al 1960, anno in cui un amico gli propose di andare con lui a lavorare al traforo del Piccolo San Bernardo. Durante il viaggio in treno verso Porto Torres incontrò un suo amico di Guspini che gli fece cambiare destinazione poiché lo invitò ad andare con lui al traforo del Monte Bianco.
Qui fu assunto come autista e in un primo tempo il suo compito fu quello di guidare il Dumper per pulire la strada all’interno della galleria, successivamente guidò le autogru.
Il lavoro era intenso, ma il signor Addari ricorda quegli anni con grande piacere. C’era la gioia di vivere e la fatica era meno pesante, l’amicizia tra gli operai divenne fraterna e cominciarono le confidenze. Il signor Addari strinse un’amicizia particolare con un operaio di Villaspeciosa, Attilio Pes, grande lavoratore instancabile. Un giorno il Pes chiese ad Antonio se al suo paese avesse una moglie ad attenderlo, egli rispose di essere scapolo. Attilio Pes allora gli consigliò, appena possibile, di andare a Villaspeciosa perché una sua comare era nubile e sarebbe stata una moglie perfetta.
Antonio Addari sorrise a quell’invito e non diede peso, ma nel 1962 giunse un nuovo operaio da Villaspeciosa con il quale strinse amicizia, Raimondo Cabula che lo invitò a Villaspeciosa. Fu così che nel 1964 Antonio tornò ad Usellus in vacanza e ne approfittò per fare due visite: una a sua sorella Eva, che viveva a Quartu Sant’Elena, e un’altra ai suoi amici operai di Villaspeciosa. Conobbe finalmente quella brava massaia da tutti decantata, Maddalena Cabula, sorella del suo collega Raimondo, che di professione faceva la postina e ne rimase affascinato.
Tornò al cantiere dopo pochi giorni, ma Maddalena aveva fatto breccia nel suo cuore e decise di scriverle una lettera in cui le confessò il suo interesse per lei. Maddalena rispose che se fosse capitato si sarebbero rivisti, ma non si sbilanciò. Nel giro di poco egli tornò e dopo una corte spietata e serrata la sposò nel 1965.
Antonio, dopo 4 anni di lavoro, lasciò il cantiere del Monte Bianco e trovò lavoro come autista di movimento terra per la ditta Campana di Cagliari dove vi rimase per 17 anni.
I lettori di Vulcano avranno così capito per quale ragione il signor Antonio Addari risulta essere un ex combattente di Villaspeciosa, in virtù del suo matrimonio egli si trasferì nel nostro paese all’età di 46 anni dove risiede da 49 anni. Il suo vissuto appartiene più a Villaspeciosa che ad Usellus.

(Fonte: Vulcano n° 81)