“Gli adolescenti, soprattutto quelli che corrono il rischio di essere reclutati, anche come spettatori, dalle baby gang, oppure di subire le loro feroci azioni criminali, hanno bisogno di almeno un genitore capace di esserci”.
Giunge, quindi, un ulteriore appello, sollecito, invito ai genitori dei ragazzini al fine di vigilare e prendere provvedimenti verso i figli: “Accettare che un figlio/a mostri ogni weekend i segni tipici dell’intossicazione alcolica; autorizzare il rientro a casa dopo mezzanotte, addirittura prima dei diciassette anni, sapendo che gira con i coetanei nel centro della città senza meta, e quindi senza impegni strutturati; intuire che fuma marijuana, spaccia, gira armato ed è spesso coinvolto in risse. Riscontrare nella quotidianità che non pratica sport, non studia e ha il ciclo sonno-veglia invertito (dorme la mattina).
Sapere tutto questo per poi decidere di dimenticarlo, in modo da schivare l’ombra del figlio/a: il disagio, la sofferenza, la turbolenza che accompagna l’adolescenza e che rievoca in alcuni adulti le proprie ferite infantili mai curate. Alla fine diventa più facile dimenticare e progressivamente scordarsi di avere dimenticato. Anche di essere un genitore”. Triste e dura realtà, ovviamente non generalizzata a tutti, ma ben constatata e consolidata purtroppo. “Un genitore “sveglio”, che non dimentica e che cerca di essere presente, in modo particolare durante il weekend, supervisionando i luoghi frequentati dal figlio/a. Una presenza discreta che impara a conoscere le dinamiche giovanili e che fa rete con gli altri genitori per riportare il buon senso laddove alcuni ragazzini e molti adulti (vedi il secondo post) sembrano averlo perso.
Ecco quindi che cosa i genitori dovrebbero fare in questa fase di emergenza sociale in cui si stanno formando le baby gang: dire basta alla deriva, facendosi vedere e sentire nel territorio.
Accanto all’esserci (che in sostanza significa essere presenti e quindi: ascoltare, controllare e sostenere i figli, in alcuni casi anche attraverso operatori specializzati), è poi necessario punire nel momento in cui si riscontrano comportamenti inadeguati. Rimproverare senza punire significa nella maggioranza dei casi sopravvalutare l’efficacia della comunicazione educativa e sovrastimare il funzionamento cognitivo dei giovani che parlano, ma non pensano come noi”.
“Infine, bisogna smetterla di farneticare, affermando che solamente con i colpi si possono educare i figli. Presenza e punizioni sono la base dell’educazione e i principi guida non solamente della psicologia e della pedagogia, ma anche del nostro ordinamento giuridico”.
Sorge spontaneo chiedere, il parere ai diretti interessati: le punizioni fanno parte dell’educazione? Un sondaggio, insomma, per capire e valutare meglio la problematica.










