La signora Luigina, 66 anni di Gavoi (nome di fantasia), non sa cosa potrà guadagnare davvero dalle due nuove formule magiche dei politici sardi: insularità e autonomia differenziata. Certo, li vede sudati e indaffarati a collezionare bandierine, ma intanto la sua realtà è questa: per arrivare a Cagliari deve fare tre ore di autobus al caldo, per stare un giorno a Milano deve spendere 400 euro, non sa cosa sia una vacanza perchè con la pensione bassa che prende non può permettersela, non può andare a trovare il figlio emigrato e il suo paese, come tanti altri in Sardegna, si spopola e rischia di sparire. Ha una bolletta salata della corrente elettrica da pagare, 300 euro, ed è costretta a rateizzarla. I bacini sono pieni ma la bolletta di Abbanoa è ugualmente cara. Se deve fare una visita medica, deve aspettare a volte anche un anno: come tanti altri sardi, rinuncia alle cure perchè non può spendere in privato. Al market la situazione è questa: se parli alla cassiera di insularità e autonomia differenziata i prezzi non cambiano, ogni genere alimentare è aumentato appena di un terzo da un anno a questa parte. Su trasporti, sanità, energia, carovita, economia, la Sardegna è al palo ma pochi hanno la voce per dirlo. Il centrodestra che governa colleziona avvisi di garanzia, il centrosinistra all’opposizione sembra stare su Marte: a otto mesi dalle elezioni regionali, non ha idea neanche del leader, mentre la Schlein parla solo di diritti civili e un ingrigito Conte senza gli amici napoletani con la tessera gialla è un politico ormai compassato, praticamente fuori dalla scena.
La signora Luigina non sa a che santo votarsi, nonostante le tante preghiere nella Chiesa del paese. Davvero non li capisce, questi consiglieri regionali come Michele Cossa o Ugo Cappellacci che si sbracciano sull’insularità, e fanno bene a farlo. O gli ex sindaci usciti di scena che per riposizionarsi esaltano Michela Murgia o gridano allo scandalo per l’autonomia differenziata, che non è quella dei mastelli che Truzzu non ha migliorato. Non c’è stato mai un momento storico come questo, nell’Isola, nel quale la politica sia distante anni luce dalla gente e dai suoi bisogni, dalle sue speranze, dai sogni infranti, senza capirli. Non è il solito discorso delle poltrone e delle consulenze d’oro che continuano ad arrivare a pioggia. La fine del Covid riporta tutto a un triste grigiore che sa di normalità: l’Isola e i suoi abitanti sono sempre più chiusi in loro stessi. Se dieci anni fa per visitare Parigi o Barcellona potevi spendere solo 20 euro, il folle aumento dei prezzi dei voli rende soprattutto i giovani chiusi dentro un profilo Instagram, senza poter postare nemmeno una bella città.
Le strade sono sempre più pericolose, nella 131 dominano i cantieri perenni e nella Carbonia-Villamassargia stiamo assistendo a un incidente mortale alla settimana. La nuova Sulcitana non è ancora completata, sono passati 26 anni. Siamo l’Isola dei centenari e andiamo fieri della longevità, ma là fuori è un altro mondo che sta tornando ad essere irraggiungibile. Soltanto i ricchi possono permettersi di mandare un figlio a studiare a Firenze o a Torino, i ragazzi che partono (e sono sempre di più, almeno quei pochi rimasti) sono abituati a dovere lavorare nella penisola per potersi pagare una stanza. Vince chi si specializza, e quei pochi coraggiosi che azzeccano l’idea di impresa. Il posto fisso è una chimera, avanti coi contratti a strappo, le partite Iva muoiono quando devono pagare l’Iva, le statistiche nazionali sugli stipendi divorati dalle bollette ci vedono tristemente al primo posto. A breve risentiremo i soliti slogan: “Cambieremo la Sardegna, c’è un altro futuro”. Ma non ci sono i soldi nè per sognare, nè per potersi salvare.
La Sardegna, patria di un’atavica invidia per chi ha successo, non può neanche andare a tifare in massa per il Cagliari di Claudio Ranieri, unico sardo nel cuore, romano quasi “naturalizzato”, che con la squadra abbia saputo ricreare entusiasmo almeno nel calcio. Peccato che lo stadio-gnomo sia tra i più piccoli in Europa, e in settimana abbiamo assistito alla vergogna dei biglietti subito esauriti, con tanti bambini a cui è stato negata la gioia di vedere il gol di Lapadula. Questo perchè Pigliaru, Zedda, Solinas e Truzzu nell’ordine ancora non sono riusciti neppure a dare il via libera al nuovo stadio, sul quale si concentrano appetiti edilizi enormi dei soliti costruttori, il cemento calcistico è un business almeno quanto l’eolico. Non si sa neppure se il nuovo impianto si farà a Sant’Elia o a Su Stangioni: dove vogliamo andare, nel vero senso della parola?
Il Bari giocherà domani con 60 mila tifosi, noi siamo talmente intelligenti che il Cagliari non avrà neanche l’incasso che meritava nelle finali. Quando c’era Cellino e il sindaco era Emilio Floris, il Sant’Elia è stato letteralmente distrutto senza mai una manutenzione: ora è un ecomostro diroccato molto più del vecchio ospedale Marino e le immagini impietose di Sky dall’alto dei droni sono una ferita enorme all’immagine di Cagliari. Si vede il nostro bellissimo mare, un immenso stadio devastato e uno stadietto che dal cielo sembra il Subbuteo. Tutte queste sono realtà e perfette metafore di quello che stiamo vivendo. E mentre i locali e i ristoranti in vista dell’arrivo di migliaia di turisti non trovano camerieri, anche perchè a volte offrono meno di mille euro al mese, e si avvicina purtroppo anche la stagione degli incendi, non ci resta che vedere i politici brindare all’insularità, legge sulla carta che difficilmente cambierà qualcosa.










