di Gian Franco Bitti
L’Onorevole Giorgio Oppi, ricoverato d’urgenza, si sincerava angosciato del Primario chiamato ad operarlo: in quel posto poteva averlo messo lui.
Giravano, allora come oggi, storielle come questa a marcare il rapporto tra i sardi ed i loro politici, simili a quelle in voga nell’Unione Sovietica di Breznev.
L’amara rassegnazione per una terra dove i Primari ospedalieri sono raramente i migliori nella loro specialità, i Docenti universitari sono quasi mai i più preparati, notabili che hanno poca frequentazione sia con le Muse che con i libri contabili governano l’Ente Lirico o il consorzio industriale. Enti chiamati a gestire servizi pubblici essenziali sono in mano a persone scelte in base a criteri non misteriosi, ma certamente inefficaci, visti i conti fallimentari ripianati dall’Erario o dai cittadini.
Ecco che il principale esperto di sanità in Sardegna che ho citato all’inizio, e che venne efficacemente curato (lo cito con molto rispetto, perchè è stato per lustri l’unico che capiva di politica applicata al carattere dei sardi) proviene dalla Geologia, alla Fondazione del Banco dispone un Ingegnere, mentre il nostro porto, erede di vari millenni di storia di traffici e commerci, logistica e dazi, camalli e bastimenti, dovrebbe aver giovato delle amorevoli cure di un apprezzato Pediatra e, più recentemente, di un eminente Radiologo.
In qualsiasi professione redditizia (compreso il giornalismo, ma nella forma stipendiata) i cognomi che risuonano in città sono sempre gli stessi a danno della qualità del servizio: si può ereditare la clientela, il ruolo, il nome, ma non sempre le capacità, il talento. Ci sono naturalmente le eccezioni: un ambiente familiare colto, benestante e di buone frequentazioni, se hai delle doti, aiuta. Ma sono, appunto, eccezioni.
Un tempo la Sinistra era egualitaria, e la Destra meritocratica. Oggi sono diventate entrambi ecumenicamente elitarie, un nuovo, vecchissimo Partito Unico: Per il P.U. le capacità professionali seguono a grande distanza la fedelta al Sultano, unico sponsor capace di promuovere una carriera nella pubblica amministrazione e nelle sue ramificazioni, di trovare finanziamenti e una burocrazia che collabora e ti accompagna nella tua impresa, che sia umana, professionale, commerciale o intellettuale. A casa mia si chiama corruzione.
Questo avveniva anche in passato, ma credevamo di potercelo permettere.
Corruzione e nepotismo bloccano la mobilità sociale. Un meccanismo naturale che seleziona i talenti in un contesto competitivo, li attrae, mette in moto la voglia di imporre idee nuove, di dargli gambe per correre. E poi i conti: la spesa pubblica si contrae, e un sistema inefficiente chiede ai Cagliaritani più soldi per avere in cambio servizi peggiori (se non bastano gli esempi della gestione dei rifiuti e della sanità ne ho in serbo un elenco lungo).
Ecco perchè gli studenti, i giovani imprenditori o professionisti di talento, appena possono, scappano. La prospettiva di un precariato a vita, della perdita della dignità, del ricorso continuo alla famiglia li spinge ad abbandonare affetti e territorio, entrambi amati.
E sono tanti, magari provenienti a Cagliari dal resto della Sardegna per studiare e tentare la sorte tra mille difficoltà. Una città che si rivela matrigna e poco interessata a fornirgli opportunità già da subito.
Ecco alcune delle ragioni del declino di una città che soffoca l’innovazione, frustra il talento e fiacca la voglia.
Cagliari Città Capitale vuole cominciare a mettere mano a questo disastro partendo da un cambio radicale di registro: un codice etico rigoroso, un ricambio generazionale, un disegno politico chiaro e una prospettiva di autogoveno vero, che punta oggi alla Città e domani alla Regione.
La attuale amministrazione comunale avrebbe potuto, almeno nelle nomine che al Comune spettano, stabilire un criterio nuovo anche sbattendo porte, magari denunciando abusi e sprechi.
Invece, se si esclude la pessima figura rimediata nel caso dell’Ente lirico, si è adagiato alla logica spartitoria di sempre, aggiungendo un commensale in più.
Il Comune può fare molto, se chi lo governa avrà il coraggio di ridefinire lo spazio cittadino, renderlo accogliente superando l’apparenza dell’asfalto e dei giardinetti. Spostando risorse e competenze, cambiando il modo di stare nei consigli di amministrazione, trasformando la burocrazia da ostacolo a motore.
Per farlo non occorrono né trentacinque liste civiche, né accordi politici pasticciati come quello tra un sindaco espresso da un partito morto ma sponsorizzato di mala voglia da un’altro agonizzante, né rivoluzionari dell’ultimo minuto, banderuole complici del disastro.
Occorrono i Cagliaritani e la loro voglia di riscatto.












