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È una storia lunga e complessa, fatta di battaglie legali, interrogatori e – sullo sfondo – tanta rabbia. Quella di una madre di 51 anni, nata a Cagliari e, da decenni, emigrata prima in Germania e poi in Svizzera. Rita Argiolas, questo il suo nome, due anni fa ha perso sua figlia, Alessia Tosoni: le cronache locali riportano la notizia, il 22 settembre 2017, di un’adolescente morta il giorno prima dopo essere stata investita da un treno presso la stazione di Taverne-Torricella. Quell’adolescente è Alessia: è qui che è utile riavvolgere il nastro degli eventi sino a fine 2016. Rita Argiolas presenta una denuncia “contro un venticinquenne che ha avuto rapporti sessuali con mia figlia”. Il ragazzo viene interrogato dalle Forze dell’ordine a febbraio 2017 e ammette le frequentazioni e i rapporti con la ragazzina. Risultato: viene indagato per violenza sessuale con fanciulli. La giovane viene sentita dalla polizia, ed emerge che non è d’accordo con la denuncia presentata dalla madre. Da lì a poco la giovanissima viene ricoverata in ospedale dopo alcune ferite che si è procurata a scuola. Lì, il dottore del Servizio medico psicologico di Locarno, dopo aver ricevuto l’ok del primario, le prescrive uno psicofarmaco, la Lyrica. Interrogato durante le indagini dopo l’apertura del fascicolo per omicidio colposo deciso dal procuratore generale Andrea Pagani contro tre medici, il capo del medico psicologo conferma la prescrizione del medicinale. Prima ancora, proprio in occasione del ricovero, il medico-psicologo chiede all’Autorità regionale di protezione di Bellinzona “di valutare il collocamento temporaneo della ragazza”, …, “per motivi di protezione”, …, perchè sarebbe emersa, da parte di Alessia, la volontà “di non voler rientrare al domicilio al termine del ricovero”. E l’Arp, dopo aver eseguito delle verifiche, porta la giovane al centro Pao di Mendrisio, struttura pubblica dove vengono accolti anche dei minorenni in difficoltà. “Mia figlia stava bene a casa, me l’hanno portata via senza un motivo”, attacca mamma Rita.
Lì, oltre alla Lyrica, la sedicenne assume “anche Fluoxetine, psicofarmaco inadatto per i minorenni”. Il 18 settembre 2017 Alessia Tosoni va dal suo medico di famiglia (anch’egli indagato) perchè ha un raffreddore: le viene prescritto il Bexin. Si tratta di uno sciroppo contro la tosse che, per alcuni princìpi attivi che ha, va in contrasto con il Fluoxetine e può causare una “compromissione del sistema neuro-vegetativo”, anche se, il dottore che in precedenza aveva “suggerito” all’Arp di far vivere la ragazza non con la sua famiglia precisa, sempre in fase di interrogatorio, che “le crisi serotoninergiche sono relativamente rare”. A tre giorni dalla prescrizione dello sciroppo da parte dell’altro dottore, Alessia Tosoni finisce sotto un treno: “La polizia dice che si è suicidata, ma per me non è così. È stata male e ha avuto un capogiro a causa dei medicinali assunti”, urla, quasi, Rita Argiolas. Adesso, al 10 settembre 2019, “non abbiamo prove sufficienti per arrivare a un processo, il mio legale mi ha già detto che, a giorni, deve arrivare la decisione da parte del procuratore del non luogo a procedere contro i medici”, spiega la Argiolas, attualmente difesa dall’avvocatessa Alix Manconi, con studio legale a Locarno. “Adesso, grazie a un giornalista svizzero che mi ha aiutato, Matteo Cheda (che su L’Inchiesta ha scritto un pezzo sul caso, ndr) potremmo avere altre prove, quali le testimonianze delle amiche che erano a bordo del treno dal quale, poi, la mia Alessia è scesa in quel tragico pomeriggio. Loro sono pronte a dire che lei, quel giorno, stava male, e che è scesa prima della fermata prevista”.