Le rocce di scarto delle cave di marmo sardo per combattere la pesca a strascico e salvare il mare. I giornalisti di National Geographic sono in questi giorni a Orosei con i ricercatori del “Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambiente e Architettura” per documentare il progetto “Poseidone”, frutto della collaborazione tra la Fondazione MEDSEA e il DICAAR dell’Università di Cagliari, ideato da Alessio Satta, con la responsabilità scientifica di Mauro Coni.
Il progetto ha come obiettivo quello di difendere il mare dalla pesca a strascico illegale, in aree protette e sensibili, che sta distruggendo la Poseidonia e i fondali marini. Poseidone è l’evoluzione del progetto Saturn già sviluppato da Medsea, con Flag Pescando Sardegna Centro Occidentale, Amp Sinis e Argea, grazie al quale una sessantina di dissuasori in calcestruzzo con ganci in acciaio sono stati posizionati al largo della costa del Sinis, a 35 metri circa di profondità.
Dalla collaborazione tra Medsea e il Dicaar una nuova idea: impiegare non più semplici blocchi squadrati in calcestruzzo ma le rocce di scarto delle cave del marmo. Queste vengono dotate di snelli arpioni flessibili, studiati strutturalmente per bloccare le reti e rilasciare in modo controllato i cavi dei natanti.
Grazie alla disponibilità di Sardegna Marmi, che supporta il progetto fornendo materiali e logistica, la cava si è trasformata per una giornata nel set delle riprese. Queste strutture ecosostenibili utilizzano i residui della coltivazione del marmo della Sardegna, proteggendo la Poseidonia, rispettando il paesaggio subacqueo e fornendo un ottimo supporto agli organismi marini che ne colonizzano gli interstizi e le cavità, rifugio di molte specie. I vantaggi sono legati anche alla litologia, originaria del mare e al contesto paesaggistico che nel golfo di Orosei presenta tanti macigni e blocchi calcarei in mare, derivanti del disfacimento delle falesie.
I danni della pesca a strascico. Le reti a strascico asportano e distruggono qualunque cosa incontrino sul fondale, pesci, invertebrati, coralli, alghe, posidonia, appiattiscono e rastrellano i fondali, eliminando rifugi per la fauna marina e lasciando un ambiente devastato dove le comunità biotiche originarie si potranno reimpiantare solo dopo molto tempo.
Strutture antistrascico tradizionali. Il contrasto alla pesca a strascico illegale (<3 miglia, < 50 m profondità) fa uso di moduli artificiali per contrastare imbarcazioni sempre più potenti e sofisticate. Essi consentono il naturale ripristino dell’habitat marino e limitano il conflitto tra gli operatori della piccola pesca e quelli della pesca a strascico, distanziando le loro aree di pesca.
Le tipologie di antistrascico sono varie: carcasse di treni e auto, blocchi di cemento barriere stradali new jersey, etc; queste riducono il fenomeno, ma trascurano la sicurezza della navigazione, con seri danni ai natanti e rischi di affondamento.
Pur raggiungendo tali obiettivi, i dissuasori tradizionali hanno alcuni importanti svantaggi:
– impiegano materiali non naturali e fuori contesto – hanno un costo energetico ed emissivo di produzione non trascurabile – alterano il paesaggio marino subacqueo naturale – i moderni ecoscandagli riescono a identificarli.
Ulteriori sviluppi. Purtroppo, l’evoluzione dei sistemi sonar e la grande sensibilità degli ecoscandagli, rende i dispositivi antistrascico visibili alle barche che fanno la pesca a strascico. Sono pertanto allo studio arpioni più piccoli realizzati con materiali che limitano il rilevamento.
Strutture antistrascico da sfridi del granito e calcare della Sardegna. Tali criticità sono superate con l’impiego di blocchi informi di scarto dell’attività estrattiva del marmo e del granito della Sardegna. La millenaria attività di cava ha prodotto una imponente quantità di
scarti: oltre 100 milioni m3 di ottimi materiali da costruzione naturali e già cavati giacciono inutilizzati. Materiali non alieni, appartenenti al contesto, avrebbero un riuso in aree sensibili per la protezione dell’ambiente. A Orosei per ogni m3 di marmo cavato vengono prodotti 3 m3 di rocce di scarto, depositate in un cumulo in oltre 3.5 milioni di m3 che occupa un’area di 16 ha, e un’altezza che sovrasta la campagna di 20 m, con un impatto paesaggistico rilevante.












