Hanno varcato l’uscita del tribunale di Cagliari con gli occhi persi nel vuoto e con la voglia, capibile dai loro volti, di tornarsene a casa e rinchiudersi nel dolore, quel dolore che provano dal 30 marzo 2019, quando il loro figlio, Davide Toro, era stato investito in via Fiume a Quartu Sant’Elena da un furgone. Il giovane, 32 anni, era morto il giorno dopo. Oggi i giudici hanno letto la sentenza di condanna per Salvatore Zedda: un anno e 4 mesi con la condizionale e due anni di sospensione della patente: “Lascio alla coscienza di chiunque abbia figli un commento. Un anno e 4 mesi con la condizionale è ridicolo”, dice Carlo Toro, padre del 32enne e “socio” della società creata proprio da Davide, specializzata nella vendita di apparecchiature mediche. “Mio figlio era un ragazzo in carriera. Non sapevo cosa aspettarmi, ma mi sembra veramente che non sia cambiato niente”. Chi ha travolto e ucciso Davide “non pagherà per quello che ha fatto, mentre noi paghiamo ogni giorno per quello che gli è successo”. Cioè, l’impossibilità di poter continuare ad abbracciare il proprio figlio.
Elisa Medda spiccica poche ma chiare parole: “Cose assurde, il guidatore dice di non essersi accorto di aver colpito una persona ma un motorino, quindi evidentemente stava dormendo. Sono delusa, abbastanza delusa”, rimarca, con la consepevolezza che, comunque, qualunque pena fosse arrivata il suo Davide non sarebbe tornato in vita. Lo sa, purtroppo molto bene, anche papà Carlo: “Sì, però… Però, niente”. La voce si blocca, prevalgono disperazione, sconcerto e lacrime.










