Debutto isolano per “Sud” di Sergio Rubini al Teatro Massimo

Da mercoledì 18 a domenica 22 febbraio a Cagliari


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Si alza il sipario su Sergio Rubini, poliedrico attore, drammaturgo, regista e sceneggiatore, protagonista da mercoledì 18 febbraio alle 20.30 – e fino a domenica 22 febbraio – al Teatro Massimo di Cagliari (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20.30 – turni A,B,C,D e domenica alle 19 – turno E) con le suggestioni di “Sud”, affascinante e ironico recital di cui è autore e interprete, sulla colonna sonora scritta ed eseguita dal vivo da Michele Fazio (al pianoforte), in trio con Marco Loddo al contrabbasso e Emanuele Smimmo dietro piatti e tamburi.

Intrigante e coinvolgente viaggio alla (ri)scoperta della cultura e delle bellezze del Meridione d’Italia, il recital si dipana sul filo delle storie e delle note, fra un’eco dei “Persiani” di Eschilo, emblematica tragedia sul dramma dei vinti, e i versi icastici di Matteo Salvatore, straordinario cantore dei poveri e diseredati, e divulgatore della musica tradizionale del Gargano, cresciuto negli anni difficili dopo la Grande Guerra, e capace di infondere nelle sue ballate una carattere di allegria e comicità, impreziosendole con divertenti e irriverenti aneddoti in un vivace affresco di varia umanità.

Il talento istrionico, e l’arte affabulatoria di Sergio Rubini, convinto fautore di un ritorno alle radici come matrice originaria da cui far scaturire il presente e il futuro, fanno di “Sud” (in cartellone in luogo de “La Serata”, brillante commedia, sempre di Rubini, sull’amore e le contraddizioni della borghesia) una sorta di diario di bordo, la traccia per un itinerario, in forma di interessante antologia di frammenti di poesia e prosa, da cui affiora l’anima e la cultura dei popoli che da secoli, se non da millenni, abitano le regioni dell’antica Magna Grecia. Una lingua magmatica e potente, e le sonorità e ritmi di quelle terre, rivisitati in chiave contemporanea, compongono l’intrigante mosaico – tra le memorie familiari dell’artista pugliese, e il ricordo del padre capostazione, appassionato di teatro e poesia, e le rime in vernacolo di Giacomo D’Angelo, di mestiere venditore di giocattoli, che passava il tempo scrivendo versi.

Quella genìa di affamati e disgraziati, ma pur sempre capaci di conservare la dignità e il rispetto di sé, di ragionare con amara lucidità, come i personaggi magistralmente disegnati da Eduardo De Filippo, e di trarre anzi ispirazione da una realtà spesso drammatica fino a trasfigurarla attraverso l’ironia e il grottesco della satira, rivive sulla scena tra frammenti epici, in cui si alternano rabbia e indignazione, desiderio di rivalsa e consapevolezza dei propri mezzi, e dei propri limiti, e scritti visionari, frutto della capacità del pensiero e dell’immaginazione di guardare oltre e reinventare il futuro. La verità sulle terre conquistate e sottomesse, sfruttate e offese dai dominatori, e sulle ingiustizie della società come sull’esperienza della fame fa pendant con i sogni e le ambizioni di quanti per inseguir talento e fortuna hanno scelto di partire e, spesso, di tornare, nutrendo la propria arte di quegli scenari, quegli echi, perfino quelle ferite immedicabili che li hanno plasmati. Fotografie di luoghi (quasi) alla fine del mondo, resi più remoti dal ritmo lento dei treni che via via sembrano inoltrarsi in quei paesaggi incantevoli e quasi fiabeschi, muovendosi a ritroso nel tempo, su cui incombe la grandezza del passato, con le regge e i palazzi dei principi, le città barocche, le meraviglie architettoniche e i templi, i teatri, le vestigia delle età più antiche.

L’inquietudine dell’uomo moderno, il mito dell’industrializzazione e soprattutto la globalizzazione, l’omologazione, rischiano di travolgere e cancellare la memoria di anni lontani, e altri più recenti, il senso di un’identità costruita sulle lotte contadine e le rivendicazioni operaie, fa intessuta anche di conoscenza e valorizzazione dell’arte e della cultura, del lavoro di grandi e piccoli maestri che hanno tenuto accesa la fiaccola della civiltà contro il progressivo imbarbarimento, la perdita di significato di radici, le migrazioni verso le grandi aree metropolitane. Un patrimonio prezioso – con le testimonianze di chi ha vissuto antiche e nuove metamorfosi – in cui trionfa il senso dell’umano, la coscienza di esser parte di un universo in costante evoluzione e mutamento verso ideali di giustizia e eguaglianza che, pur smentiti nei fatti, conservano intatto il loro valore.

Il “Sud” di Sergio Rubini e un orizzonte reale e fantastico, una meta irraggiungibile a cui tendere con tutte le proprie forze e la propria fantasia, per riportarne alla luce l’incanto e la bellezza, e rivivere così l’emozione di una riscoperta delle proprie radici, di una visione del mondo in parte più ingenua, meno cinica, in cui i misconosciuti “eroi” di un popolo sono non i guerrieri armati di spada ma poeti e scrittori, antichi e nuovi cantastorie. In una sorta di trittico, l’attore ripercorre le vicende in qualche modo simboliche, e per certi versi simili di artisti come Matteo Salvatore e Eduardo De Filippo, che attraverso la loro opera hanno saputo dar voce agli ultimi, i più sfortunati, e insieme riscattare secoli di fame e miseria, portando la cultura e facendo risuonare il nome della loro terra in tutto il mondo, per affidare poi a “La guerra dei cafoni” dello scrittore Carlo D’Amicis una sorta di summa lirica e ironica degli scontri di classe e dei mutamenti culturali, economici, sociali e politici del Belpaese.

OLTRE LA SCENA/ gli attori raccontano… – venerdì 20 febbraio – ore 17.30 alla MeMMediateca del Mediterraneo di Cagliari (in via Mameli 164)Sergio Rubini incontrerà il pubblico per parlare del mestiere dell’attore ma anche di drammaturgia e regia fra teatro e cinema in una conversazione/ intervista con il giornalista Gianni Olla. INGRESSO LIBERO

 

 

 

 

 

INFO & PREZZI

biglietti serali

primo settore: intero  32 – ridotto  25

secondo settore: intero € 27 – ridotto € 20

loggione: intero  15 – ridotto  10

 

 

biglietto studenti universitari: 6 euro (con tagliando ERSU)

 

La biglietteria del Teatro Massimo (ingresso in via De Magistris 12) sarà aperta nelle sere di spettacolo a partire dalle 17. INFO: cell. +39 345.4894565 –[email protected]

info: [email protected] – www.cedacsardegna.it

 

SCHEDA DELLO SPETTACOLO

 

Nuovo Teatro di Marco Balsamo

SUD

Recital di e con Sergio Rubini

musiche originali scritte ed eseguite dal vivo da Michele Fazio (pianoforte)

con Emanuele Smimmo (batteria) e Marco Loddo (contrabbasso)

Lo spettacolo

Per farvi un’idea di questo spettacolo immaginate per un attimo di non essere seduti tra le file di una platea a teatro, ma nello scompartimento di un treno. Un treno un po’ spericolato perché a guidarlo è un attore ma anche un regista: un tizio magrino, il profilo puntuto, Sergio Rubini. Già altre volte in passato, ma solo sul grande schermo, vi ha fatto racconti di treni, binari, piccole stazioni di posti sperduti. Il capotreno ci dice che il motivo del viaggio a cui stiamo partecipando è il SUD ma nemmeno lui sa dove arriveremo, al Sud?, è probabile ma potrebbe anche andare diversamente.

La destinazione insomma è incerta.

E incerto è l’andamento del treno.

Fin da subito avrete la sensazione di aver percorso grandissimi tratti nell’arco di pochi minuti. Perché per esempio dalla lettura di un passo dei Persiani di Eschilo, incipit dello spettacolo, Rubini passerà al racconto di Matteo Salvatore, un cantastorie vissuto nel buio periodo del dopoguerra che ha fatto della sua miseria da pane nero la forza della sua poetica. Eppure dentro questo Sud abbandonato e senza luce, fiorisce la grande letteratura che proprio a Napoli ha avuto il massimo dell’espressione nell’opera di Eduardo, che ha fatto di personaggi schiacciati dal fatalismo e dalla rassegnazione dei veri giganti, non certo capaci di modificare la propria condizione, ma dei ragionatori, con il coraggio di guardarsi dentro. E a proposito di piccoli “eroi” del Sud, Rubini passerà al racconto di un altro capostazione, suo padre, che in un paesino agricolo del profondo Sud negli Anni Sessanta coltivava, come altri suoi compaesani, la passione per il teatro, per la recitazione, per la poesia. Come i versi in vernacolo di Giacomo D’Angelo che nel suo negozio di giocattoli scriveva poesie. Ad accompagnare le letture e intervallare i momenti dialogici a quelli recitati, le musiche originali eseguite dal vivo dal maestro Michele Fazio al piano, Marco Loddo al contrabbasso ed Emanuele Smimmo alla batteria, che renderanno vivo e attuale ogni verso.

 

Proseguendo la strada della riscoperta del passato, per gestire meglio il futuro, intrapresa con i precedenti lavori, con questo nuovo spettacolo Rubini va oltre il recital “La guerra dei cafoni”, dell’estate 2013, realizzandone uno nuovo e ancora più ricco, con poesie e racconti riguardanti il Mezzogiorno d’Italia.

Noi siamo in un momento storico – ha spiegato Sergio Rubini – in cui bisogna tornare ad osservare gli anni ’70, quando ancora non avevamo incontrato i rovinosi anni ’80. Erano anni di passioni, erano anni in cui si dava molta importanza ai giovani e dalla gioventù che ci si aspettava i cambiamenti. Questi pensieri si sono guastati negli anni ‘80, facendo nascere le delusioni, nelle quali si radica la crisi che stiamo vivendo in questi giorni. Quindi ricominciamo dagli anni ’70 e questo spettacolo è una maniera per ricordarli”.

Suddiviso in tre parti, il recital racconta le vicende di Matteo, un ragazzo che oggi avrebbe l’età di un “nonno di tutti noi”, narra la storia di Eduardo, immerso in un Sud che riesce a tirarsi su e che anche sulla miseria riesce a costruire la propria dignità e cultura, che viene divulgata nel mondo e riprende, infine, stralci del libro di Carlo De Amicis (“La guerra dei cafoni”).

Troppo in fretta abbiamo dimenticato le nostre origini, quelle da cui veniamo. Però, secondo me, se non ci ricordiamo bene da dove veniamo, non sappiamo neanche dove dobbiamo andare”.

 

Il protagonista

 

Straordinario interprete e icona del cinema italiano, Sergio Rubini, nato a Grumo Appula (in provincia di Bari)e trasferitosi a Roma dopo il liceo, per frequentare l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, da sempre appassionato di teatro, è stato diretto da registi come Antonio Calenda e Gabriele Lavia, e ha collaborato con Enzo Siciliano.

Dopo alcune esperienze radiofoniche, l’esordio sul grande schermo nel 1985 con “Figlio mio infinitamente caro”, a cui faranno seguito nel corso di un anno “Desiderando Giulia” e soprattutto “Il caso Moro” di Giuseppe Ferrara, con Gian Maria Volonté. Scelto da Fellini come suo giovane alter ego ne “L’intervista”, è anche pprotagonista dell’opera prima di Giuseppe Piccioni, “Il grande Blek”. La sua carriera cinematografica subisce una svolta grazie all’incontro, e l’inizio di un fecondo sodalizio con l’autore e sceneggiatore Umberto Marino, con cui gira “La stazione”, miglior film alla Settimana Internazionale della Critica al Festival di Venezia. Seguiranno “La bionda” (1993), la commedia “Prestazione straordinaria” (1994), “Il viaggio della sposa” (1997), “Tutto l’amore che c’è” (2000), “L’anima gemella” (2002) e “L’amore ritorna” (2004), e ancora “La terra” (2006), “Colpo d’occhio” (2008) e infine “L’uomo nero” (2009) e “Mi rifaccio vivo” (2013).

 

Fondamentale l’incontro con il regista Gabriele Salvatores che lo dirige in “Nirvana” (1997), “Denti” (2000) e “Amnèsia” (2002), che me esalta il lato grottesco e per certi versi “onirico”. Come attore, collabora con vari registi, da Giuseppe Piccioni (Chiedi la luna, 1991) a Carlo Verdone (Al lupo, al lupo, 1993), da Giuseppe Tornatore (Una pura formalità, 1994) a Pino Quartullo (Storie d’amore con i crampi, 1995) e Francesca Archibugi (L’albero delle pere, 1998); nel cast de “Il talento di Mr Ripley” (1999) di Anthony Minghella, gira con Alessandro Piva (Mio cognato, 2003), Giovanni Veronesi (Manuale d’amore, 2005; Manuale d’amore 2, 2007; Genitori & figli – Agitare bene prima dell’uso, 2010), Alessandro D’Alatri (Commediasexi, 2006), Giulio Manfredonia (Qualunquemente, 2011). Tra le pellicole più recenti, “Sei mai stata sulla luna?” di Paolo Veronese. 


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