Ha 38 anni e, per un cumulo di pene, resterà a Uta sino al 2030. Altri sette anni, ma la sua pena è ben più lunga. Diana Adzovic, residente nel campo Rom di Carbonia, è stata condannata per una lunga scia di furti. Tra i corridoi e le celle del braccio femminile del carcere ha un buon rapporto con tutte le altre detenute ed è stata tra le poche a volerci mettere la faccia, raccontandosi, durante i festeggiamenti dell’otto marzo: “Il mio fine pena sarà nel 2030 per vecchi reati, un cumulo di pene legate sempre a furti. Passo le mie giornate con le compagne di cella, poi faccio le varie attività previste dal carcere”. Pc, cucito, ginnastica, al piano terra c’è anche una biblioteca ben fornita. I metri quadri sono quelli, il prezzo della libertà è pari al sapersela tenere, la libertà. E Diana lo ammette, di aver sbagliato, e lo fa capire quando si rivolge a chi vive ben distante da una cella: “Chiudetevi in una camera e fatevi mancare tutto. Poi, pensate ai detenuti e non avrete voglia di commettere reati”. Lei, forse, l’ha capito, ma ormai è tardi. Ma un domani tornerà libera, la trentottenne Rom: “Fuori non mi manca nessuno. So che un giorno uscirò e risolverò ciò che devo risolvere”. Nessuna parola sui possibili problemi che dovrà affrontare quando tornerà a Carbonia.
Vale la regola del qui ed ora, in carcere. Ogni giornata trascorre con dei riti, e regole, che si ripetono, a partire dal momento della colazione sino alla buonanotte: “Qui, comunque”, precisa, “il direttore del carcere e tutte le agenti ci supportano, ci fanno da psicologhe e ci sostengono. Ci aiutano moltissimo”. In una realtà fatta di grosse chiavi che chiudono e aprono porte sbarrate in ferro, non è poco.










