La vergogna del degrado di Cagliari passa pure da quello che fu il tempio sacro di chi rese immortale la gloria dei rossoblù. Lo stadio Sant’Elia, ricoperto di erbacce da far impallidire foreste urbane e archistar indagate, popolato di gatti randagi e animali selvatici, discarica di qualunque rifiuto, con migliaia di parcheggi inutilizzabili all’esterno, è il monumento all’immobilismo oltre che alla vergogna. Al centro, la porta dove calciavano Riva, Matteoli, Oliveira e Muzzi resiste in mezzo alla giungla. E intanto, il Cagliari in serie A gioca nello stadio più piccolo d’Europa: a cento metri, la storia umiliata dal silenzio dell’amministrazione Truzzu prima e Zedda poi, immobili sul fronte demolizione mentre decine di milioni di euro, soldi pubblici, andranno al nuovo stadio e centinaia di migliaia di euro sono stati spesi per mettere in sicurezza pezzi pericolanti e a rischio crollo del sant’Elia.
Guardate il video pubblicato da Riccardo Basile: parla da solo. I commenti vanno dalla satira all’indignazione, da “Una foresta meglio di via Roma” a “Tristezza”, fino al dettagliato commento del giornalista Sandro Angioni (allora dirigente del Cagliari) che porta l’attenzione su 600mila euro di soldi pubblici usati per le reti di protezione degli spalti pericolanti. “Non fatevi stupire dal campo di gioco ma memorizzate le sezioni di spalti demolite perché pericolanti: quando segnalammo il fenomeno al padrone di casa (il comune guidato anche all’epoca da Massimo Zedda ndr) ci rispose che eravamo pretestuosi e che il problema si sarebbe risolto installando delle reti di protezione: appalto comunale diretto e spreco di 600mila euro. Nel frattempo per sicurezza il Cagliari emigrò a Trieste mentre il Comune , in segno di solidarietà, provvide a pignorare presso terzi circa un milione: operazione suicida perché portò al dover restituire la somma, perché niente giustificava il pignoramento, con aggravio di spese per interessi maturati nel frattempo. Ulteriore danno erariale con soldi nostri”. Una denuncia gravissima, che dimostra ancora una volta come lo spreco di soldi pubblici sia stato usato per rattoppare situazioni rimaste irrisolte.










