Ottanta giorni. È questo il tempo concesso dal gip per cercare una verità rimasta sepolta per trent’anni. Una finestra di indagini tecniche e scientifiche per provare a riscrivere la storia di Manuela Murgia, la 16enne trovata morta il 4 febbraio 1995 nel canyon di Tuvixeddu a Cagliari. Una morte archiviata come suicidio, ma che oggi la giustizia torna a scandagliare con l’ipotesi di omicidio volontario: nell’inchiesta è indagato l’ex fidanzato di allora, oggi 54enne, Enrico Astero.
Da ieri nei laboratori della caserma San Bartolomeo, i carabinieri del Ris stanno esaminando con tecnologie di ultima generazione gli abiti che la ragazza indossava il giorno in cui fu ritrovata. Ieri sotto la lente sono finiti un maglione e un giubbotto: tracce di sangue e residui biologici, secondo indiscrezioni, sarebbero emersi durante i primi accertamenti. La fase successiva – ormai imminente – sarà quella più delicata: la classificazione e comparazione dei profili genetici. Undici i reperti riesumati dal deposito dell’ex istituto di medicina legale di via Porcell, dove venne condotta l’autopsia nel 1995. Si tratta di capi d’abbigliamento, accessori e una busta che li conteneva. L’analisi è partita dagli indumenti intimi: la ricerca di tracce biologiche è collegata a una consulenza medico-legale secondo cui Manuela potrebbe aver avuto un rapporto poco prima di morire, forse uno stupro o comunque un rapporto violento.
Dopo due archiviazioni, la prima per suicidio e la seconda per mancanza di elementi, ora si riapre uno spiraglio. I prossimi ottanta giorni saranno decisivi per capire se, dietro quella morte nel vuoto, si nasconde davvero un delitto.












