Telecamere, testimoni e soprattutto il dna sull’arma che ha ucciso Marco Mameli lo scorso primo marzo durante la festa di carnevale a Barisardo. Così Giampaolo Migali, 27enne di Girasole, è stato incastrato dopo sei mesi di indagini e silenzi.
“La prima promessa è stata mantenuta”: poche ma precise parole quelle della famiglia del giovane morto alla festa di carnevale. Da mesi attendendeva che chi ha inferto le pugnalate mortali avesse un volto e un nome: solo oggi la svolta con l’arresto di Giamapaolo Migali, 28 anni di Girasole, già indagato per aver ferito un altro giovane sempre la stessa sera in cui Mameli morì.
Da allora nessuna svolta ufficiale, le indagini sono proseguite in silenzio sino a oggi con l’arresto, avvenuto all’alba di Migali con l’accusa di omicidio.
“Noi siamo ancora lì, fermi a quella notte in cui siamo stati avvisati che era successo qualcosa a Marco, non sapevamo ancora cosa, ma dentro di noi lo sentivamo, qualcosa non andava.
Siamo corsi sul posto col cuore in gola, lungo il tragitto di pochi chilometri dentro di me pregavo, speravo fosse solo un malinteso, un incidente d’auto, una rissa tra ragazzi, qualsiasi cosa… Ma non “quello”.
Quando siamo arrivati – aveva raccontato la mamma – Marco era lì, disteso a terra, già coperto da un telo.
Nostro figlio… Quel ragazzo pieno di vita che poche ore prima mi aveva salutato sulle scale di casa e mi aveva lasciato dicendomi << Ci vediamo domani>>.
Il mio ragazzo, che era uscito per una serata di festa ora era lì, immobile, freddo, solo, non potevamo più avvicinarci, siamo stati privati anche della consolazione dell’ultimo abbraccio, dell’ultima carezza.
Nessun genitore, sorella, fratello, amico dovrebbe vivere una scena del genere. Nessuno!
In quel momento il mondo si è spento per noi. Tutto si è rotto. I suoi sogni svaniti insieme ai nostri.
Ci siamo ritrovati a vivere in un incubo reale, da cui non ci sveglieremo mai.
Eppure c’è ancora chi protegge chi ci ha procurato tutto questo dolore, ci sono i codardi che sanno e tacciono, chi continua a vivere la sua vita come se niente fosse successo.
Ma noi no!
Noi non possiamo.
Noi siamo sempre fermi lì, a quella notte, già condannati all’ergastolo del dolore.
Mi fa male dire che l’unica persona che non può parlare sia Marco.
Ma dico con certezza che se fosse successo a Francesco, Matteo, Davide, Michele, Luca, Andrea… Marco avrebbe parlato, lui avrebbe detto la verità senza paura.
L’avrebbe fatto anche non conoscendoli.
Perchè lui era così, sincero, onesto, giusto, amico.
E invece adesso lui non c’è più e intorno a lui solo schifoso silenzio.
Silenzio che pesa e grida meschinità.
A chi ha ucciso nostro Figlio diciamo “Tu non avrai pace “ .
A chi non ha pietà, sa e tace “Portatevi pure questo silenzio sulla coscienza”.
Ma sappiate che la verità prima o poi emergerà.
E noi che abbiamo visto nostro figlio a terra coperto da quel telo, siamo qui ad aspettare quel giorno”.










