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Stoffe pregiate risalenti a ben 300 anni fa a Serramanna

di Valeria Putzolu
18 Giugno 2023
in hinterland, zapertura1

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Stoffe pregiate risalenti a ben 300 anni fa a Serramanna

Dopo esser riuscito a risalire alla storia dell’ultimo conte di Serramanna e ad aver portato in paese il discendente diretto della dinastia, la sua capacità di interagire con la storia del passato non è passata inosservata a colti e studiosi da sempre impegnati a ricomporre il puzzle dei tasselli mancanti attraverso vecchi scritti, ricerche ed esami dei reperti giunti sino a noi. https://castedduonline.it/paolo-casti-sogno-realizzato-riuscire-conoscere-lultimo-conte-serramanna/
Questi tre capi, ben custoditi, passati di mano in mano, tramandati per 300 anni sono “testimoni ultimi e magari portatori della perpetua nota di infamia”. Un salto nel tempo per capire cosa avvenne: “Reminiscenze della perpetua nota di infamia. Il 21 luglio 1668 – spiega Paolo Casti – fu assassinato il viceré di Sardegna, don Emanuele de Los Cobos y Luna, Marchese di Camarassa e per quei fatti furono condannate a morte diverse persone, tra le quali Antonio Isidoro Brondo y Castelvì, fratello di Felice Antonio Brondo y Castelvì III Marchese di Villacidro, che fino a qualche anno prima aveva vissuto a Madrid con suo zio Giorgio de Castelvì.
Così come rammentato ancora oggi dalla lapide a Perpetua nota di Infamia posta a Cagliari in via Canelles, al numero 32 recante un’epigrafe in spagnolo che oltre ai nomi degli autori del gesto di lesa Maestà, sottolinea che oltre alla vita furono condannati alla “perdita dei beni e dei titoli, demolita la loro casa conservando sulle rovine eterna ignominia e nefanda memoria”.
A seguito di questa vicenda, anche il palazzo dei marchesi Brondo a Villacidro venne demolito quasi completamente e abbandonato.
Solo cento anni dopo, nel 1768 i ruderi del palazzo, furono acquistati al prezzo di 500 scudi (equivalenti a 1250 lire), da Monsignor Giuseppe Maria Pilo, che lì volle costruire la propria residenza per godere della salubrità del clima villacidrese.
Il vescovo prese possesso del Palazzo il 24 ottobre 1770.
Risalente a quell’arco temporale sono dei capi di abbigliamento che, leggenda narra, furono appartenuti al marchese e alla marchesa di Villacidro, e conosciuti appunto come “sa roba de su marchesu e marchesa”.
Questi capi di vestiario, da anni sono oggetto di discussione, dal momento che pare siano passati di mano in mano sino ad arrivare ai giorni nostri, ma non è mai stata del tutto chiarita la loro reale provenienza.
Secondo alcuni non avrebbero nulla a che fare coi marchesi di Villacidro e con Villacidro, ma arriverebbero addirittura da un altro paese.
I capi in questione sono tre: un corpetto, un corsetto e un grembiule”. Nel 2019, a seguito di una conferenza svoltasi a Villacidro, dal tema “Il Marchesato di Villacidro”, Casti fu contattato dalla persona che li aveva in custodia, che a sua volta li aveva avuti in dono da alcune donne pie di Villacidro  “perché voleva che li facessi avere ai discendenti della famiglia Brondo.
Dopo alcuni anni, ne sono venuto in possesso per cercare di compiere questa missione; farli avere agli attuali marchesi di Villacidro, della famiglia spagnola dei Crespí de Valldaura di Madrid.
Deciso ad approfondire la loro origine, li ho sottoposti al giudizio di tre esperti: un docente di Storia dell’Arte Storia dell’Arte Medievale e Moderna nonché ricercatore del Dipartimento di archeologia e storia dell’arte dell’Università di Cagliari e autore di numerosissime pubblicazioni, saggi, convegni etc. sulla materia. Un maestro sartoriale (maist’e pannu), libero ricercatore dell’abbigliamento tradizionale, tra i maggiori esperti regionali di abbigliamento tradizionale ed esperto nella conservazione, il recupero e la riproduzione degli abiti tradizionali sardi e un perito esperto antiquario del Tribunale di Cagliari.
I pareri, dati dai tre esperti, sono pressoché concordi nell’affermare senza ombra di dubbio che il tessuto è un lampasso lanciato broccato di produzione italiana del XVIII secolo (1760-70 circa), sebbene il confezionamento sia successivo (presumibilmente del XIX secolo, a cui appartengono le passamanerie dorate che ornano il corpetto).
È raro che si conservi un abito tradizionale così antico in tutti i suoi elementi, infatti, talvolta, questi tipi di vestiario si usavano nelle chiese per abbigliare le statue della Vergine Maria; non era inusuale, appunto, il riutilizzo fino all’usura di stoffe pregiate, come appunto questo broccato, molto bello e antico.
Pare chiaro, inoltre, che i capi siano il risultato di un assemblaggio di almeno due capi distinti, verosimilmente paramenti sacri, più realisticamente due dalmatiche (veste utilizzata in epoca romana e poi rimasta in uso come paramento liturgico consistente in una lunga tunica, provvista di ampie maniche, che arriva all’altezza delle ginocchia).
In conclusione, non possono essere stati degli abiti in uso ai marchesi Brondo giacché non compatibili temporalmente, sebbene i tessuti, benché successivamente tagliati e accorpati per produrre capi ex novo, potrebbero essergli appartenuti e magari donati alla chiesa.
Non vi è alcun dubbio che i tessuti siano antichi e risalenti a quasi 300 anni fa, testimoni ultimi e magari portatori della perpetua nota di infamia”.
Paolo Casti, attualmente, dopo essere riuscito a mettersi in contatto con don Álvaro Fernández-Villaverde y Silva, XII e attuale detentore del titolo di Marchese di Villasor, è in procinto di dare alle stampe tre nuovi libri, di cui due imminentemente (“Marchesato di Villasor” e “Contea di Serramanna”) e uno in fase di ultimazione (“Marchesato di Villacidro”).

Tags: serramanna
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