Una sfumatura in particolare, “Ajò”, ha fatto subito scattare l’ipotesi che il commando, che ha portato via milioni di euro seminando il terrore sull’Aurelia, sia composto da banditi di origine sarda. Tutto da verificare, ancora, ma sui social è già stata emessa la condanna generalizzata verso un’isola. Non solo: volti sconosciuti e noti si sono apertamente espressi a riguardo catturando l’attenzione del sindaco Giovanni Melis che, pubblicamente, espone: “Spiace che si voglia fare sensazione e cronaca sociale (con malcelata base razzista) basandosi su una presunta inflessione dialettale che sarebbe una prova di colpevolezza per i sardi, in specie per Desulesi e Sssaresi. Assisto da tempo, quasi rassegnato, alla deriva che sta imperversando sui social. Dove le illazioni diventano elementi d’accusa, il sospetto una prova su cui costruire una gogna mediatica per processare migliaia di persone perfettamente oneste. E soprattutto penalmente innocenti. Sto imparando a mie spese che non conta ciò che si è ma ciò che altri pensano di te. O, ancora peggio, ciò di cui ti si accusa davanti alla corte Vehmica riunita sui social”.
Un fatto non isolato e che non riguarda solo l’isola dei nuraghi bensì un pò tutto e tutti che hanno la sfortuna di finire nel calderone virtuale. Lapidati non con pietre ma attraverso le parole digitate o pronunciate, queste rimangono poi impresse quasi come cicatrici indelebili capaci di macchiare la reputazione e affossare ogni bene che, sino ad allora, aveva caratterizzato il “bersaglio di turno”.
“È una brutta deriva. E se coinvolge anche certa classe intellettuale (e politica) allora diventa allarmante” conclude Melis.













