Riforma dei porti, per la Sardegna è uno tsunami: “Centralizzazione miope, l’Isola rischia di pagare il prezzo più alto”.
La riforma dei porti approvata dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre 2025, su proposta del ministro Matteo Salvini, rappresenta per la Sardegna un vero e proprio tsunami istituzionale, economico e sociale. A dichiararlo è uno dei massimi esperti in materia, docente di Ingegneria dell’Università di Cagliari ed ex assessore alla viabilità Mauro Coni. Dietro l’obiettivo dichiarato di “rilanciare la portualità nazionale”, il decreto apre infatti la strada a una centralizzazione senza precedenti che rischia di marginalizzare l’Isola, svuotando di ruolo e risorse l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna e allontanando le decisioni dai territori.
Il cuore della riforma è la creazione della società Porti d’Italia (PdI), alla quale verrebbero trasferite risorse, competenze e personale oggi in capo alle Autorità di Sistema Portuale. Le AdSP resterebbero formalmente in vita, ma relegate alle sole attività di routine e manutenzione ordinaria, mentre PdI – con una concessione ministeriale di 99 anni – avrebbe in mano la progettazione e la realizzazione delle grandi opere, la manutenzione straordinaria, le strategie di marketing e perfino la possibilità di operare all’estero.
“È un impianto che stravolge il principio di sussidiarietà e ignora completamente la specificità della Sardegna”, denuncia Coni -. “I nostri porti non sono semplici infrastrutture: sono la linfa vitale dei territori, determinano sviluppo urbano, lavoro, mobilità e coesione sociale. Spostare le decisioni a Roma significa scollegarle dal contesto reale”.
Uno dei nodi più critici riguarda la centralizzazione delle scelte strategiche. In una prima fase le AdSP dovranno fare una ricognizione dei fabbisogni, ma sarà poi il ministro a decidere quali opere siano “strategiche” e con quale ordine di priorità. “Un’infrastruttura fondamentale per Cagliari, Olbia o Oristano potrebbe non essere ritenuta prioritaria a livello nazionale e semplicemente non vedere mai la luce”, osserva Coni. “È un rischio enorme per un’Isola che già soffre di condizioni strutturali di svantaggio”.
La riforma comporta anche un pesante svuotamento di competenze e risorse dell’AdSP Mare di Sardegna, che negli ultimi anni ha lavorato in stretta sinergia con Comuni e Regione, ottenendo risultati concreti: riqualificazione dei waterfront, abbattimento delle barriere porto-città, ridefinizione delle funzioni portuali a favore del turismo, della nautica e della fruizione pubblica. “Con risorse ridotte all’osso – avverte Coni – l’Autorità sarà costretta a concentrarsi esclusivamente sulle funzioni portuali essenziali, mettendo fine a quel percorso virtuoso di integrazione con le città”.
Non mancano poi le ombre sul piano della trasparenza e del mercato del lavoro. La PdI potrebbe operare direttamente, o tramite società partecipate, nella progettazione e realizzazione delle opere, aggirando di fatto le procedure di evidenza pubblica previste dal codice degli appalti. “È un modello che apre la porta a opacità e conflitti di interesse, oltre a sottrarre opportunità alle imprese locali”, sottolinea Coni.
Particolarmente allarmanti sono gli impatti sulle condizioni di insularità. La possibilità che PdI investa anche all’estero, utilizzando risorse sottratte alle AdSP, rischia di penalizzare settori cruciali per la Sardegna: continuità territoriale passeggeri e merci, sviluppo della cantieristica, della nautica e delle attività industriali portuali. “È evidente – conclude Coni – che una logica orientata alla redditività tenderà a privilegiare porti e rotte più profittevoli, lasciando indietro quelli che svolgono una funzione sociale ed economica essenziale per l’Isola”.
In definitiva, la riforma disegna una società, Porti d’Italia, concentrata sulla gestione delle infrastrutture e sull’attrazione di capitali privati, ma priva di una vera visione strategica condivisa. Per la Sardegna questo significa perdita di autonomia, marginalizzazione istituzionale e rischio di speculazione su asset fondamentali per la sua economia e la sua mobilità. “Non è questo – avverte Mauro Coni – il modo di rilanciare la portualità nazionale. E certamente non è il modo di garantire un futuro equilibrato alla Sardegna”.










