Ha abbracciato forte forte la figlia, appena nata, giurandole che non l’avrebbe mai lasciata sola e che, insieme alla mamma, si sarebbero presi cura di lei. Salvatore Mameli, 58enne di Quartu, da un decennio ha però dovuto lasciare un posto di lavoro sicuro, come operaio. Il motivo? La figlia, Sara, trentuno anni, non può mai restare da sola. E così una famiglia ha visto, giorno dopo giorno, pian piano, aumentare i problemi. Punta principalmente il dito “contro l’Asl e i servizi sociali”, il padre della trentunenne.
“Mia figlia è sordomuta e le è stato diagnosticato un disturbo dell’umore e del comportamento. Nel tempo, i medici hanno cancellato la patologia del disturbo psicotico, diagnosticandole la schizofrenia”. Sara non ha la capacità di sapersi relazionare con gli altri, vive in un suo mondo dove gli unici punti di riferimento sono i genitori. Che, però, non sanno più a che santo votarsi perchè privati dell’assistenza specifica: “Sara è tutelata dalla legge 162, dovrebbe avere un assistente che per qualche ora al giorno la lava e resta con lei. Non troviamo più una cooperativa che ci mandi un solo operatore socio sanitario, è a nostro carico 24 ore su 24. È in carico al centro di salute mentale, anche se ci è stato detto chiaramente che non la ritengono una loro paziente”. Il motivo? “C’è solo la diagnosi del ritardo mentale”. Una scelta dettata da rigidi e sin troppo burocratici parametri mette in croce Salvatore e la moglie, da sempre casalinga.
“Sarà non comunica e non parla con nessuno, passa tutto il giorno rinchiusa in casa. Ho contattato più volte i servizi sociali, ma non è cambiato nulla. Ci hanno detto che dovremmo cercarci una persona che la segua e che, poi, saremmo stati rimborsati. Ma non abbiamo le possibilità economiche. A dicembre finiremo di prendere il reddito di cittadinanza, circa 900 euro. Poi, potremo contare solo sulla pensione di invalidità e altre entrate legate alla patologia di nostra figlia, circa 1400 euro. Non posso lavorare, ma vorrei tanto. Devo badare a Sara, non posso lasciarla sola. Chiedo, a gran voce, che i servizi sociali prendano in carico la nostra situazione, il nostro dramma, fornendoci una figura adeguata che possa trascorrere con nostra figlia, ogni giorno, almeno mezza giornata, o almeno dalle otto a mezzogiorno. Così ci sarebbe qualcuno che può badare a lei, noi potremmo riposarci un pochino e io, magari, potrei anche tornare a lavorare qualche ora”.











