Fioccano le polemiche nel quartiere Castello, a “Casteddu” per i sardi e “Castedd’e’ Susu” per i cagliaritani. Proteste scaturite per la comparsa di un’opera d’arte che ritrae un uomo intento a tuffarsi dal Bastione di Santa Croce. Diciamolo chiaramente: sembrerebbe un individuo intento a gettarsi nel vuoto. Quella statua “è un colpo al cuore dopo i tanti tentativi di suicidio dalle terrazze di Castello” hanno detto in tanti.
Polemiche a parte, quella sagoma umana, rievoca nella nostra mente almeno due episodi. Uno storico e l’altro di cronaca. Partiamo dalla cronaca. Era il 2007 anno in cui un ragazzo in compagnia dei suoi amici seduti davanti al bar del Bastione di Santa Croce, decise di alzarsi in piedi, di prendere la rincorsa e poi giù, un tuffo ferale dal bastione, alto una trentina di metri. Chi scrive ha assistito a quella scena tremenda, udito lo “scoppio” di quel corpo, visto tutto quel sangue sparso sull’asfalto. Più d’un pensiero pietoso stimola un gesto del genere. Ma ritorniamo alla SCULTURA SUL BASTIONE che, abbiamo anticipato, stimola anche una riflessione storica. Quella che rievoca la pratica, adottata per secoli dai dominatori di turno, e consistente nel precipitare giù dal bastione di Santu Giuanni o Santa Croce, quanti si erano intrattenuti poco dopo il tramonto tra le mura del Castello. In quella circostanza infatti le sentinelle medievali che dalle torri scrutavano il territorio, preannunciavano con il suono cupo di un corno la chiusura delle porte della città. Una consuetudine che ha dato origine al proverbio: “tinci bogu a son’e corru”. Riferito agli “indesiderati” che di lì a poco sarebbero stati scaraventati giù dalle mura. Ora, ben venga l’arte, difesa, in questo caso specifico dall’autore dunque scultura definita “libera”. Anche perché sarebbe stata liberamente collocata sul bastione, parrebbe, senza autorizzazioni, o bandi di gara. Forse per far discutere, per stimolare dialogo, riflessioni, e chissà: magari centrando l’obiettivo della condivisione?













