di Tonio Pani
PICCOLA RIFLESSIONE SULLA FESTA DEI LAVORATORI:
Quanto erano belli i tempi in cui non esisteva il disoccupato, il quale rappresentava quasi una parola mancante del vocabolario.
Esisteva “Su Mandroni” è vero, ma il lavoro non mancava, c’era per tutti, e non dovevi inseguirlo, ti cercava lui.
Era un lavoro faticoso? Più umile? forse!
Lavorare i campi, pascolare le pecore, preparare “is manigas” con le spighe, fare il pane, ricamare e cucire, preparare i dolci non doveva essere facile, ma il lavoro non mancava.
Con gli anni il lavoro ha cominciato a farsi prezioso, ha iniziato a invertire il ruolo e a farsi inseguire sino a nascondersi, a diventare latitante.
Il lavoro arcaico ha iniziato la sua “modernizzazione” trasformandosi in “Impiego”.
Le falci sono state sostituite dalle tastiere, i campi di grano trasformati in migliaia di tubi attorcigliati e fumanti, creando quindi quella catastrofe chiamata disoccupazione, figlia della politica degli ultimi trent’anni.
L’economia industriale, oltre ad aver distrutto svariate perle ambientali, ha nebulizzato anche il lavoro.
Non ci sono tastiere o scrivanie per tutti, e l’impiego è diventato lo strumento più diffuso per tenere sotto ricatto chi lo ottiene magari con il favorino, “S’accozzu, ” che sarà un guinzaglio per ogni tornata elettorale.
La Sardegna è la terra che più di altre ha subito questa “Catastrofe”.
Lo specchietto per le allodole era la realizzazione di quelle quattro ciminiere che hanno fatto perdere ai sardi la sua più grande ricchezza, la libertà.
La libertà del lavoro autonomo, dove l’unico interlocutore era il tempo, al quale dovevi rivolgerti per assistere la tua annata, non al politico per ottenere “S’acozzu” a ciò che invece dovrebbe rappresentare un diritto.
Il vergognoso scenario Politico Nazionale ci deve far riflettere.
La Sardegna può risorgere solo attraverso l’autostima e al convincimento che a noi Sardi non ci ha mai regalato nulla nessuno e NOI e SOLTANTO NOI possiamo e dobbiamo essere artefici del nostro destino.












