“Mio fratello non si è suicidato in cella”. La Procura di Oristano ha riaperto l’inchiesta a carico di ignoti sulla morte di Stefano Dal Corso, trovato impiccato nel carcere Massimo il 12 ottobre 2022. Accolta l’istanza della sorella Marisa con nuove testimonianze e un audio. “Secondo un detenuto, il giorno prima è stato pestato a sangue”, ha detto nella conferenza stampa tenuta oggi alla Camera, con l’avvocato Armida Decina, la presidente di “Nessuno Tocchi Caino” Rita Bernardini e il deputato Roberto Giachetti, che ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. “Le urla di dolore di Stefano si sentivano per tutta le sezione dove era recluso. Mio fratello, la sera prima del 12 ottobre 2022, quando venne trovato morto in cella, subì un pestaggio da parte delle guardie”. E’ un’accusa pesante quella che lancia Marisa Dal Corso, sorella di Stefano. “Quella sera un altro detenuto che era nella cella di fronte a mio fratello si sentiva male perché da cinque giorni non riceveva i medicinali per il diabete, di cui soffriva – racconta la donna -. Mio fratello quindi ha chiamato gli operatori, ne è nata una discussione con loro. Dopo un po’ sono entrati nella sua cella, hanno chiuso il blindo e le urla di Stefano si sentivano fino alla cucina”.
“E’ un dovere tutelare l’istituzione penitenziaria e le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria alla luce delle presunte ombre ventilate dai familiari di Stefano Dal Corpo sul suicidio del loro congiunto in carcere a Oristano. Noi siamo sereni perché sappiamo che il personale di Polizia Penitenziaria di Oristano ha sempre dimostrato la propria professionalità e si è sempre adoperato per assicurare l’ordine e la sicurezza, promuovendo il trattamento rieducativo”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Noi confidiamo con serenità nella Magistratura perché la Polizia penitenziaria, a Oristano come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una “casa di vetro”, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto – lavoro svolto quotidianamente – con professionalità, abnegazione e umanità – dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria”.












