“Stanno colorando le regioni con il nostro sangue”. Mario Dessì lo urla, durante la manifestazione di piazza Garibaldi a Cagliari organizzata da Fabio Macciò, dedicata a ristoratori e partite Iva. Ha una maglietta bianca dove c’è scritto l’articolo 1 della Costituzione, Dessì: quell’Italia fondata sul lavoro che, oggi, non c’è più. O, meglio, è in semi lockdown. Lavora in uno dei chioschi bar di viale Buoncammino, Mario Dessì: “Da generazioni, ci siamo quarant’anni. Pur essendo un locale all’aperto con tutti gli spazi necessari per lavorare, da oltre un anno non mi permettono di dar da mangiare e di sostenere le mie famiglie”, afferma. “L’asporto non rende, ti devi collegare a piattaforme che chiedono cifre esorbitanti. La ristorazione ha esigenze diverse dalle pizzerie, non posso consegnare un piatto pronto e caldo come in un tavolo. Sono in lockdown, anche il fatto di poter aprire solo per l’asporto non consente di campare. Prima ci vivevamo in sei famiglie, ora in tre e non ci stiamo dentro lo stesso”
“Mi aiuta la mia famiglia, sennò non mi basterebbe la cassa integrazione che mi è arrivata, da novembre ad oggi ho ricevuto nemmeno settecento euro. Sono aiuti insufficienti, da fame. Non posso comprare nemmeno la roba per la scuola per mio figlio. I chioschi sono l’unica attività che realmente potrebbero lavorare in sicurezza”. Ma la chiusura, parziale, invece è realtà. “Oltre al danno, la beffa”.









