Mancavano mascherine negli ospedali, soprattutto a Cagliari. Ma dal Binaghi partivano le mascherine per i familiari della malavita orgolese. È tutto nell’ordinanza sulla maxi inchiesta su mafia e corruzione in Sardegna che ha portato all’arresto di Tomaso Cocco, dirigente medico dipendente della Ats Sardegna, anestesista, già responsabile dell’ambulatorio di Terapia del dolore dell’ospedale Binaghi, accusato anche di peculato.
Nel marzo 2020, in piena pandemia da Covid, emerge la carenza di dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari sardi. Partono i primi esposti nelle procure dell’Isola, in particolare a Cagliari, per la mancanza dei dispositivi di protezione individuali.
“Molti medici delle terapie intensive e del sistema 118 operano sprovvisti di maschere FFP3, fatto gravissimo – scriveva il sindacato nell’esposto – Alcuni reparti hanno altresì lamentato perfino la carenza di mascherine chirurgiche”.
E proprio in quei giorni Tomaso Cocco, fornì un quantitativo di mascherine chirurgiche, dispositivi ospedalieri di cui aveva la disponibilità per ragioni di ufficio, all’orgolese Giuseppe Cadinu, persona gravata precedenti penali significativi.
L’11 marzo 2020 alle ore 17: 48 Cocco fu contattato da Cadinu che, tra le altre cose gli chiese se potesse fornirgli della mascherine per i suoi familiari. Il medico rispose di avere a disposizione quelle chirurgiche e che gliele avrebbe date accordandosi per fargliele recapitare da Salvatore Succu, in passato intermediario per i contatti tra i due.
Il giorno dopo Cocco fu contattato dall’autista orgolese Gianfranco Crissantu “per ritirare qualche cosa” e i due si diedero appuntamento all’ingresso del Binaghi. “La gravità del fatto, per essere correttamente intesa”, si legge nell’ordinanza del gip, “deve essere riportata all’epoca degli avvenimenti contestati, quando l’emergenza Covid aveva generato un’improvvisa e e gravissime carenza di protezione individuale per tutti i cittadini e, soprattutto, per gli operatori sanitari degli ospedali sardi, si tratta di beni mobili caratterizzati da un valore economico apprezzabile ai fini della configurabilità del reato ipotizzato, che sul piano del dolo, in relazione allo specifico cointesto pandemico, si caratterizza per particolare intensità”.











