Un’attività e una tradizione tramandata da padre in figlio. Il padre è Luigino, 81 anni, storico ciabattino di San Michele. Nei pochi metri quadri del suo locale in via Is Maglias i tempi d’oro delle centinaia di scarpe riparate ogni mese sono lontani, ma il futuro strizza l’occhio proprio a suo figlio, Ignazio. Trentasei anni tondi, sguardo arguto e tanta voglia di mettersi in gioco. Una voglia iniziata già da tanto tempo. “Un passatempo, almeno all’inizio, guardavo papà mentre lavorava. Pian piano ho imparato sempre di più, e ho capito che può essere possibile portare avanti l’attività. È un lavoro che non fa quasi più nessuno, puntando anche sulla pubblicità attraverso i canali social riuscire a competere sul mercato può essere facile”.
A proposito di “facilità”, il termine opposto arriva quando si parla, in generale, di lavoro. “Molto difficile trovarne uno, in particolare poi, quello del ciabattino, è molto complesso se non si trova chi te lo possa insegnare. Devo tutto a mio padre, voglio specializzarmi e modernizzarmi”. Il giovane 36enne fa l’elenco delle “sicurezze” ormai, per lui, diventate verità quasi assolute. “La situazione lavorativa peggiora continuamente, fare il ciabattino è una buona opportunità. I clienti sono anziani e donne, con un po’ di specializzazione e pubblicizzazione è possibile riportare le persone all’abitudine di far riparare, anche più volte, un paio di scarpe”. Quello del ciabattino è un mestiere, tuttavia, antistorico, in una società dove va di moda l’usa e getta. Può essere una chimera riuscire ancora a vivere, tra anche solo dieci anni, riparando calzature?. Melis è netto: “Sì. Bisogna saper sfruttare ma anche far fruttare un’esperienza lavorativa, magari risparmiando soldi per fare corsi utili”. La crisi è ovunque: consiglio per i tanti giovani disoccupati? “Se uno vuole, riesce a fare. Bisogna anche sapersi accontentare”.









