Governo, Di Maio e Salvini vicepremier. Nella squadra ancora caselle vuote
Il leader M5s punta al bis con Lavoro e Sviluppo. Il segretario del Carroccio al Viminale. Sono molti i nomi in ballo per l’esecutivo giallo-verde. Dice Di Maio a Teramo: «Non vedo l’ora che il governo si metta al lavoro e non vedo l’ora che il ministero dello Sviluppo Economico con dentro quello del Lavoro sia del M5S. È quello che abbiamo chiesto». È questa la novità di giornata, il super Mise (ministero dello sviluppo economico, ndr). I pentastellati lo vogliono per il loro leader, probabilmente vicepremier al pari di Matteo Salvini, che invece avrebbe il Viminale. E fin qui, l’intesa sembra tenere. Governo, Salvini: “Accordo su premier e ministri”. Conte in pole per palazzo Chigi Il problema è che c’è la convinzione che il Colle voglia che – in funzione di assoluta garanzia degli impegni internazionali – almeno due se non tre ministeri «pesanti» vadano a tecnici stimati. E, in particolare, gli Esteri all’ex segretario generale della Farnesina e poi capo del Dis Giampiero Massolo, che sembra il più sicuro in quanto ha anche il placet di Lega e M5s; la Difesa ad una figura come l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ex Capo di stato maggiore della Difesa; l’Economia a un tecnico di esperienza e impostazione rigorista come Paolo Savona, già ministro dell’industria del governo Ciampi e da sempre contrario all’accettazione dei parametri di Maastricht, o il direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi.
Il problema è che la Lega vorrebbe almeno uno di questi ministri, o la Difesa con Lorenzo Fontana (ma è tradizione che un partito che ha gli Interni non abbia anche la Difesa) o l’Economia con Giancarlo Giorgetti (altrimenti dato sottosegretario alla Presidenza), e questa è la richiesta vera, per bilanciare il superMise grillino e stoppare la carta Andrea Roventini (M5s). Altro punto delicato è il ministero delle Infrastrutture: in pole il M5s con Laura Castelli, perché il Movimento vuole mettere in pratica la sua contrarietà alle grandi opere, che ritiene inutili. Ma quel ministero lo vorrebbe anche la Lega, che candida Stefano Candiani con finalità opposte: salvare le grandi opere almeno al Nord, a partire dalle pedemontane veneta e lombarda, il terzo valico per Genova e la Tav fino a Venezia. Per la Sanità zero problemi per Giulia Grillo (M5S) e così per il leghista Nicola Molteni (o il suo collega Stefano Candiani) all’Agricoltura. La Giustizia dovrebbe andare ad Alfonso Bonafede (M5S), i Rapporti con il Parlamento a un leghista: o Roberto Calderoli o Giulia Bongiorno. Ma nel gioco degli incastri in quella casella potrebbe finire anche il pentastellato Riccardo Fraccaro, altrimenti in corsa con il generale Sergio Costa (tecnico in quota M5s) per il ministero dell’Ambiente (ambito però anche dalla leghista Lucia Borgonzoni). La Lega tiene al ministero delle Disabilità, e dovrebbe averlo con Simona Bordonali. Sempre alla Lega andrebbe il ministro degli Affari Regionali e del Turismo, con Gianmarco Centinaio. È probabile che per gli Affari Europei la spunti il pentastellato Vincenzo Spadafora e per l’Educazione il suo compagno di movimento Vito Crimi. Sempre al M5s dovrebbe andare il ministero dei Beni Culturali, forse ad Emilio Carelli. Questo dice il tam tam del palazzo. Ma come recita l’articolo 92 della Costituzione, «il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». Il Colle è decisivo. Per questo, nonostate intese e accordi, come scrisse Lorenzo il Magnifico «di doman non c’è certezza».











