I giovanissimi cagliaritani, soprattutto per “colpa” dell’effetto lockdown? Hanno iniziato a bere alcolici anche ad un’età dove, anagraficamente e giuridicamente, si è considerati bambini “Dieci o undici anni, come mostrano numerosi report”. È questa l’età, stando a quanto comunicato dall’assessora comunale delle Politiche sociali Viviana Lantini, nella quale “i giovanissimi utilizzano alcol e droghe. È un grossissimo danno per la salute, i ragazzi devono essere resi consapevoli perchè non si redono conto di quello che fanno, probabilmente percepiscono l’alcol meno pericoloso delle droghe, ma lo sono tutti e due”. E, “molto spesso”, anche “le loro famiglie tendono a minimizzare senza rendersi conto che bere alcol tra i bambini sta diventando una consuetudine”. E i mesi di reclusione forzata a casa non ha impedito ai giovanissimi di abusare di alcol.
A dirlo è Graziella Boi, direttrice del dipartimento dell’Ats della salute mentale zona Sud: “Le statistiche ci dicono che tramite social e piattaforme i giovanissimi hanno acquistato alcolici e si sono ritrovati a fare aperitivi sui social, continuando ad avere lo stesso stile che utilizzavano fuori di casa”. Anzi, tra le mura domestiche “sentono meno il pericolo, ma hanno comunque superato la soglia fissata dall’Organizzazione mondiale di sanità legata all’unità alcolica sotto i 18 e i sedici anni. Bere 330 millilitri di birra, una lattina, vuol dire ingurgitare gli stessi grammi di alcol di un amaro o di un superalcolico. La concezione della vita legata al distanziamento sociale”, prosegue l’esperta, “ha scatenato in loro una voglia di fare ciò che hanno fatto e che, ora, possono fare fuori come se non avessero freni e fossero già preparati”.










