Una lettera commovente, due persone che si incrociano negli anni della vita dedicati alla formazione – quelli della scuola e dell’Università – per poi perdersi, ma forse mai totalmente. Paolo Zedda e è il prof di musica di Cagliari ucciso in Francia, a Pouliguen, mercoledì scorso. Il presunto assassino è stato fermato dalla polizia e il suo marito, Didier Delettre, ha dedicato tante righe struggenti al “suo” Paolo sul nostro giornale. Adesso arriva anche il ricordo di Giuseppe Andreozzi, avvocato, ex consigliere comunale di Cagliari e attuale presidente del teatro Lirico. Lo conosceva bene, Paolo Zedda, sin da quando erano entrambi bambini. Ecco, di seguito, la sua lettera-ricordo.
Paolo. Capita, che nel cuore della notte ti si spezza il filo del sonno e cerchi di riannodarlo frugando fra le notizie che il “telefonino” sputa instancabilmente, a ogni ora. Col rischio di imbatterti in quella che non vorresti mai leggere e ti lascia con gli occhi sbarrati fino all’alba: Francia, Le Pouliguen (località balneare della Loira Atlantica), ucciso un professore cagliaritano di 66 anni, Paolo Zedda … Paolo, scuola elementare del Riva di piazza Garibaldi.
Tutti agli ordine del “generale” Luisa Pisu. La chiamavamo così, scherzosamente, la nostra maestra, per i suoi modi severi che però non ci impedivano di amarla e ricevere in cambio un pieno di amore, per la storia, le scienze, la lingua e la letteratura, che non ci ha abbandonati. E Paolo già si distingueva, unico per intelligenza e simpatia. Ci ritrovammo all’Università, lui in lingue, io in legge, a condividere mille battaglie perché quel ‘tempio’ non fosse più riservato a pochi privilegiati, ma diventasse un luogo accessibile per tutti, a ciascuno secondo le proprie capacità. Per ottenere questo, ci dicevamo, non bastava aprire le porte ai meno fortunati; occorreva anche cambiare il modo di costruire e diffondere il nostro ‘sapere’, per lui la cultura, per me il diritto, e rompere, in tutti i campi, gli stereotipi del passato. Paolo non aveva paura di manifestare questi pensieri anche nelle assemblee più infuocate, parole forti dette col sorriso e i suoi modi gentili; unico anche in questo. Fui testimone della partenza per il viaggio che gli avrebbe cambiato la vita: fine estate 1976, con le care amiche comuni Rosa, Angela e Maria Giovanna. Uno ‘stage’ a Grenoble, sulle Alpi francesi, per poi dividersi, giovanissimi lettori di lingua italiana, fra i licei di diverse località della Francia. Paolo scelse Parigi, la città dove ha risieduto, lavorato e costruito i suoi affetti, fino all’ultimo. Non ci siamo più incontrati, ma ogni tanto avevo notizie da comuni amici, sulla sua ricca attività professionale e culturale.
Ho pensato a Paolo anche questo inverno; mi occupavo del teatro Lirico di Cagliari senza mai stancarmi, nelle pubbliche manifestazioni e negli incontri con la politica, locale e nazionale, di segnalare l’importanza del sostegno all’opera lirica, anche come veicolo della diffusione della lingua e della civiltà italiana nel mondo. Avevo saputo che Paolo, fra le altre cose, insegnava dizione lirica italiana nel Conservatorio di Musica di Parigi. Quale miglior ambasciatore della nostra lingua e quale miglior testimone di questa realtà, sconosciuta a molti? Non ho avuto il tempo di realizzare questo sogno. Certo, immaginando di incontrarlo oggi, non potrei dirgli: ‘Paolo, ora insegna agli angeli come si canta in italiano’. Ricordo bene che la retorica era una delle cose cui l’amico era maggiormente refrattario (stavo per dire ‘che odiava’, ma l’odio era un altro concetto estraneo al suo essere). Di sicuro si metterebbe a ridere. Io però confido segretamente che ci riuscirà”.













