Caro Dettori,
Posso dirti caro, nel senso latino del termine, carus che, più che caro, vuol dire gradito e amato. Amato perché ogni mattina ci chiami all’ordine, ci lasci respirare l’antico meravigliosamente nuovo. Navighiamo fra latino, greco, scienze, arte, filosofia, matematica. E quando poteremmo annegare, tu no, ci fai restare a galla. Dentro le tue ali non solo studiamo, non siamo di quelli che pensano solo ai libri, lo sai bene. Noi esploriamo, ci incuriosisce ogni parola, ogni suono, ogni istante trascorso fra passato e presente, per comprendere il futuro. Difficile, sì, molto. E sai bene quanto ci piacciono le sfide: davanti a un testo in greco, le vocali, gli aedi, una storia bellissima che tu sei lì a tradurre. La scopri, la vivi, le dai vita. Solo grazie a un vocabolario. Quanto è magico tradurre, vero?
E gli studenti creano quelle amicizie che si porteranno dietro per tutta la vita. Le litigate in corridoio, i baci fra i fidanzati, le chiacchiere fra gli amici cari e quelli che non lo sono tanto. E la chiamata della mamma per sapere com’è andata la versione. I collaboratori che ti sostengono, il registro elettronico che si impantana, l’annuncio del messaggio dalla presidenza che non finisce mai, da quant’è lungo. I ripensamenti per un votaccio, la gioia di un nove, di un otto. Un cappuccino al ginseng amarognolo, anche se è l’unica cosa capace di svegliarti.
E i professori, le anime pulsanti che, dal greco protagonizo, sono quelli che sì, per noi combattono in prima fila. Che l’insegnare, più che impararlo, l’hanno sempre avuto dentro. Le spiegazioni di Dante, della selva oscura; i sorrisi dopo gli interventi, la pazza gioia che provi quando tornano i tuoi vecchi ragazzi.
“Grazie, prof, grazie per tutto.”
Le storie che si intrecciano, le mattinate che si susseguono, la presidenza e il mitico vicepreside.
Le mille volte che “a scuola oggi no, scordati che ci vado”. I ripensamenti, le volte in cui siamo scivolati e ci siamo arrampicati alla perifrastica passiva.
I ragazzi che entrano, che si guardano attorno; i “primini” che alzano gli occhi alle quattro colonne, che lo sguardo parla per loro.
Caro Dettori, grazie per le meraviglie che nascondi e che fai scoprire. Per la nostalgia degli universitari che da te vogliono tornare. Per i sogni che ti affidiamo e che tu sai sempre realizzare.
Grazie perché sei tu.
Il più del regalo della nostra vita da adolescenti.
La sicurezza, la fiducia, lo star insieme.
Vivere ogni giorno, cogliere l’attimo e lasciare il tempo per riprenderlo la mattina dopo.
Le ore di studio a casa, che quando ti pensiamo ci viene paura. Paura di non essere pronti. Che andrà male l’interrogazione, di sicuro. E tu che ci aiuti, ci sproni, ci confidi. La gente che chiama, che ti chiama, che a una tua chiamata accorre sempre.
Grazie di esistere.
Perché se non ci fossi ti dovrebbero inventare.
Perché senza te quel mare là fuori, che più che bello è ri-belle, non potremmo mai solcarlo. L’arte di stare a galla ce l’hai insegnata tu.












