I mesi passano e la rabbia dei 700 ex lavoratori portuali aumenta secondo dopo secondo. In cassa integrazione da settembre 2019, con la sola Naspi da settembre 2020, gli operai del Porto Canale di Cagliari tornano ad urlare tutta la loro disperazione sotto il Consiglio regionale in via Roma. Lì, tra l’acqua e le banchine, tutto è fermo da 24 mesi: il loro destino è appeso a scelte politiche ed economiche (è necessario, prima di tutto, trovare un nuovo terminalista disposto ad assumerli e creare l’agenzia per i lavoratori). Dopo le proteste di due mesi fa, però, nulla si è mosso. E così, gli ex lavoratori hanno imbastito la prima di tre giornate di proteste: domani l’appuntamento è sotto l’assessorato regionale dell’Industria, dopodomani il bis in via Roma. Una protesta molto chiassosa, urla e trombette per farsi sentire dai palazzi dove si prendono le decisioni. L’sos principale viene lanciato proprio alla Regione, “colpevole” di non aver aperto nessun dialogo concreto col Governo.
E gli operai, ormai disoccupati da 2 anni, del Porto Canale, tra gruisti e addetti allo smistamento delle merci, lo gridano all’unisono: “Non vogliamo lasciare la nostra terra, il porto di Cagliari era strategico e funzionale. Tra circa 8 mesi terminerà il periodo della Naspi”, spiegano i lavoratori, supportati da Cgil, Cisl e Uil. “La politica deve darci risposte e salvare settecento famiglie, tra lavoratori diretti e indiretti”. I manifestanti sono davvero furiosi, e domani potrebbero tentare di incontrare la vice ministra sarda dello Sviluppo economico, Alessandra Todde, in visita domani nell’Isola.










