Cagliari, in viale Sant’Avendrace chiude il ristorante dei cagliaritani veraci: addio a “Da Luciano”

Insegna sparita e serrande abbassate nel viale flagellato dal caos traffico e dal cantiere bloccato dal Comune. Luciano Incani: “Stavo lavorando solo per pagare le spese. Bolletta della luce da duemila euro, poi l’affitto e pochi clienti: non ce l’ho fatta più”


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Un altro pezzo di storia di Cagliari che scompare, non perché “Da Luciano” in viale Sant’Avendrace fosse un ristorante storico ma perché il suo titolare, Luciano Incani, negli ultimi trent’anni ha fatto accomodare migliaia di cagliaritani prima nel Corso Vittorio e, negli ultimi cinque anni, nel viale ingolfato dal traffico e da quel senso unico prima approvato e poi bocciato dal Comune, con un cantiere lasciato lì, appeso, in attesa di una ripartenza dei lavori. Sessantasei anni, battuta sempre pronta e tra i migliori conoscitori della cucina di mare, Incani ha abbassato le serrande del suo ristorante due giorni fa: “Chiuso per sempre”, dice al telefono, con un tono di voce che fa ben capire quale sia l’amarezza che si porta dietro una scelta simile. Il ristorante dei cagliaritani veraci, di quelli (ben pochi, in città) dove era impossibile non scambiare due chiacchiere o sentirsi rifilare una battuta tagliente dal titolare tra una portata e l’altra, tra uno spaghetto con bottarga e vongole e un’orata. Prima della “bestia” del Covid, quando a tavola trionfava solo l’allegria e non il timore di doversi cospargere le mani ogni tot con l’amuchina perché “non si sa mai”, Luciano Incani ha intrattenuto i suoi clienti cantando, sul finire del turno di lavoro: il suo cavallo di battaglia? Le canzoni di Adriano Celentano. Bisognava essere sordi per uscire dopo un pranzo o una cena dal ristorante “Da Luciano” senza ridere, o almeno col sorriso sulle labbra. La sua è stata una clientela variegata, dalle coppie trentenni ai pensionati, dagli imprenditori ai finanzieri. “È domenica, andiamo da Luciano”, è la frase che in tanti hanno detto prima di telefonargli per prenotare un tavolo. E il secondo, salvo sorprese, era sempre di mare, con Incani pronto a sfoggiare triglie, gamberi, orate e spigole ancora nel ghiaccio.

 

 

Ci sarebbe da scrivere un romanzo sul ristoratore. Un altro, purtroppo, che è stato sconfitto dal caro bollette e dal Covid: “Con questa pandemia non c’era niente da fare, non stavo più lavorando. Riaprire da qualche altra parte? Non se ne parla nemmeno, come faccio?”, sostiene. “Negli ultimi due anni non ho lavorato”. Le spese fisse, però, non sono scomparse come la maggior parte dei clienti, evaporati perché “la gente ha paura. Affitto, la luce l’ho pagata più di duemila euro. Stavo lavorando per pagare le spese, e nemmeno ce la facevo”, sospira Incani, prima di congedarsi con il suo classico “dài, poi già ci sentiamo”. La frase che ha detto per tanti anni quando salutava i clienti che, sazi, uscivano dal suo ristorante nel viale Sant’Avendrace. Un viale, da qualche ora, ancora più buio. E, soprattutto, triste.