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Cagliari, il piano anti malamovida fa discutere: “Minorenni timbrati contro l’alcol? Solo un compromesso”

Parla l'esperto Luca Pisano, psicoterapeuta: "Le telecamere andrebbero puntate su chi vende alcolici, le misure messe a punto un modo per non affrontare il problema nel suo complesso"

di Valeria Putzolu
1 Ottobre 2025
in cagliari, zapertura

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Cagliari, il piano anti malamovida fa discutere: “Minorenni timbrati contro l’alcol? Solo un compromesso”

Cagliari, marchiare i minorenni per proibirgli di bere alcolici ma la proposta non piace: “Non si risolverebbe il problema”. Misure e proposte per contrastare il fenomeno del sabato sera in città, quello che trasforma piazze e strade in ring e i partecipanti sono giovanissimi che per caricarsi bevono e consumano sostanze stupefacenti. Non solo: si stanno formando le baby gang, quelle che controllano i territori, che delinquono che mettono a repentaglio la propria vita e quella degli altri. Il sabato sera si accende ma non brilla di luce propria: sono le sirene delle ambulanze e delle forze dell’ordine a illuminare i volti dei ragazzini caduti a terra perché ubriachi oppure sporchi di sangue per lo scontro finito male.

Parla l’esperto Luca Pisano, psicoterapeuta, Direttore Master in Criminologia IFOS, che meglio di tutti conosce il problema e lo affronta con il suo team, salvando, ogni fine settimana, decine di giovanissimi.
“La polemica sulla timbratura? Uno scontro politico per non affrontare i reali problemi dei giovani”. Pisano analizza ai punti principali della proposta studiata dalle istituzioni per frenare, fermare l’emergenza-sabato sera: dalle telecamere, che “andrebbero puntate sui commercianti per sanzionare chi vende alcolici ai minorenni”, al famoso marchio sui minorenni.

“Relativamente ai minorenni, l’idea di timbrare una parte del corpo per prevenire e contrastare la somministrazione di alcolici è certamente positiva. È una misura già adottata, nel mondo, in moltissime discoteche – quindi non innovativa – e che, di per sé, non ha effetti psicologici negativi. Non si tratta, infatti, di etichettare o stigmatizzare i ragazzi, ma semplicemente di facilitarne l’identificazione al bar della discoteca, evitando così situazioni ambigue che potrebbero favorire la vendita di alcol.
Tale misura risulta, però, inapplicabile per strada. In discoteca esiste un unico punto di somministrazione, mentre in città i giovani possono rivolgersi a diversi esercenti, alcuni dei quali non vendono alcolici ai minorenni. Inoltre, i ragazzi difficilmente accetterebbero di farsi timbrare la mano o il polso, trattandosi di una pratica mai vissuta per strada; e, anche se lo facessero, sarebbe sufficiente lavarsi le mani e rivolgersi a un altro commerciante per aggirare il controllo.

Complessivamente la “timbratura” è solamente un compromesso per evitare di affrontare un problema più complesso. Nelle discoteche, infatti, si registra una forte promiscuità generazionale: minorenni e giovani adulti condividono lo stesso spazio, rendendo complicata la verifica dell’età ogni volta che si presentano al bar. Da qui la necessità del timbro. Eppure, se – come più volte ho proposto – si stabilisse che i minorenni possano accedere solo nella fascia della “prima serata” (14-18 anni non compiuti, dalle 21.00 alle 24.00) e i maggiorenni solo nella “seconda serata” (dalle 24.00 in poi), il problema non si porrebbe affatto. Poiché però i gestori temono che una simile distinzione possa ridurre le presenze in sala, si preferisce ricorrere al compromesso della timbratura”.

Quindi, “per tutti questi motivi, la polemica sulla timbratura è più di natura politica che sostanziale: sia i favorevoli che i contrari non sono intenzionati ad affrontare il nodo alla radice”.
Per quanto riguarda invece le telecamere, “sarebbe molto più utile puntarle sui commercianti così da sanzionare chiunque venda alcolici ai minorenni e per l’uso dei metal detector, si tratta di una misura che dovrebbe diventare obbligatoria in tutte le discoteche, considerato l’elevatissimo numero di minorenni e maggiorenni che circolano armati di coltelli e altri strumenti contundenti”.

Si tirano le somme: “In sintesi, il documento non apporta strumenti in grado di incidere concretamente sul disagio giovanile. Il problema non è infatti la mala-movida, ma la condizione di fragilità di moltissimi giovani che attendono il sabato sera solo per ripetere lo stesso rituale: consumo di droghe (tra cui l’alcol), urla, schiamazzi, risse, utilizzo di coltelli, tirapugni e sfollagente”.

Un rituale che oramai si consuma da troppo tempo e che segna una sconfitta per chi vuole bene ai ragazzi e cerca di insegnargli a stare insieme senza dover ricorrere alle cattive intenzioni: divertirsi in modo sano, insomma, spensierato come dovrebbe essere alla loro età, perché questi sono gli anni più belli in cui i primi amori e le uscite con gli amici segnano, “marchiano” il percorso di tutti, indelebilmente. E da grandi è meglio ricordarsi di un periodo positivo in cui qualche “pazzia” è concessa ma non deve essere uno stile di vita deviato dai canoni che, quasi, impongono, che chi più picchia è il migliore di tutti, oppure che chi più beve è il più “togo” del gruppo.

No, non è così. La vita di questi ragazzini spesso è già messa a dura prova da un contesto familiare e sociale difficile, in cui la rabbia che portano dentro, spesso, si manifesta con il disagio da sfogare in risse e abusi. Contrastare la tendenza di farsi del male e farlo agli altri è l’obiettivo da raggiungere, quello che tutti inseguono per indirizzare sulla retta via i giovanissimi ribelli.
Una missione impossibile? No, semmai difficile che richiede l’ausilio e le capacità di tutti perché c’è in gioco la vita delle nuove generazioni che meritano di essere prese per mano da aduti e istituzioni, per il bene di tutti.

Tags: Cagliari
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