Nel corso degli anni Novanta le imbarcazioni delle classi “Poeta” e “Strade Romane” rinnovate offrivano condizioni di viaggio migliori rispetto alle precedenti classi “Regione” e alle classi omonime di base. La Linea “Canguro” offriva qualità nei servizi di viaggio per il breve periodo in cui fu noleggiata (dal ’76 al ’78). Un tempo le auto venivano imbarcate con le gru e la minore stazza delle imbarcazioni implicava una maggiore oscillazione della nave col mare mosso. L’esiguo numero di cabine rispetto alla domanda determinava situazioni precarie di viaggio durante la traversata. Molti passeggeri dormivano sul pavimento usando le valigie come cuscini e i giornali come materassini. Vari ambienti della nave erano attraversati da tubature esterne. Le porte tagliafuoco che separavano i settori della nave erano sopra-elevate rispetto al pavimento. Quando il mare era agitato tutto si muoveva, scene apocalittiche di disagio e mal di mare si riversavano nei lavabi dei bagni con conseguenti occlusioni. Nonostante alcune migliorie apportate negli anni Novanta le tratte Cagliari-Civitavecchia e Cagliari-Genova continuavano ad essere sovraffollate. I biglietti aerei costavano molto più di quelli navali e molti optavano per la traversata via mare. In quegli anni le navi traghetto della Tirrenia attraccavano in via Roma, precisamente al Molo Dogana e nella calata adiacente. I passeggeri salivano a bordo usando le scale di imbarco agganciate agli ingressi laterali dello scafo e un nastro caricava i bagagli più pesanti.
All’ingresso un addetto con mostrine e camicia sbottonata controllava i biglietti e indicava la direzione per arrivare in cabina. Dopo aver lasciato i bagagli in cabina si andava a poppa per osservare l’ingresso delle auto, la chiusura del portellone, e lo slaccio degli ormeggi dalle bitte. Poi i saluti a chi stava in banchina mentre la città “diventava” sempre più piccola fino a scomparire. Qualche volta capitava di trovare chiusa la cabina se il primo arrivato la chiudeva e andava via con l’unica chiave. Dopo inutile attesa scattava inevitabile l’avviso al Commissario di bordo che ordinava l’annuncio a tutta la nave. Una voce con accento partenopeo leggeva un caustico messaggio “i passeggeri occupanti la cabina __ sono urgentemente attesi all’ingresso”. Finalmente entrati in cabina era consuetudine presentarsi ai passeggeri delle altre cuccette. I letti a castello erano due, separati da un breve spazio. Poi si decideva chi custodisse la chiave. Da poche frasi nasceva una piccola “amicizia da viaggio”, sia perché veniva spontaneo, sia perché chiacchierare distraeva dal tempo che mancava all’arrivo. Dopo aver sistemato i bagagli si era liberi di girovagare senza meta per la nave. Col passare del tempo l’appetito si trasformava in vera fame, e con perfetto tempismo la voce partenopea invitava al “GaVden Buffet” (la finta erre moscia cercava di rendere più elegante l’annuncio). I più saggi si portavano i panini da casa, a scalare c’erano quelli che li avevano acquistati al porto, poi quelli che li acquistavano al bar della nave, infine gli arditi del “Garden Buffet”.
Il ristorante della nave offriva le stesse pietanze del Garden Buffet ma con prezzi più alti giustificati dal servizio al tavolo. Oltre alla cabina esisteva la sistemazione in poltrona. La poltrona di “prima classe” non era idonea a dormire comodamente perché la spalliera era poco reclinabile, tuttavia la sala disponeva di un televisore e di un credibile alloggiamento per stoccare i bagagli. La poltrona di “seconda classe” era molto più spartana e implicava difficoltà maggiori a trovare la posizione giusta per incontrare Morfeo. Ultima opzione, la più economica, il passaggio ponte. Chi aveva quel biglietto si spostava dal posto di fortuna trovato nel salone del bar a una poltrona meno scomoda recuperata da qualche parte.
Chi aveva il posto in cabina e rientrava dopo la passeggiata poteva trovare aria viziata e russatori in azione. A volte l’arietta “fine” era “impreziosita” dall’odore di formaggio profuso da qualche valigia, generalmente ciò accadeva alla partenza dall’Isola, o dal fetore di calzini e anfibi del militare di leva in licenza che rientrava in Sardegna. Certamente erano due spauracchi non da poco, e se confermati invitavano a ragionare su un ulteriore giretto per ossigenarsi prima di rientrare in cabina e provare a dormire. Ma c’era chi non riusciva in questo ardito proposito e preferiva provare a dormire in poltrona.
Le alternative per passare il tempo non erano tante a parte la lettura. La televisione prevedeva turni di venti minuti per accontentare un po’ tutti, ma al largo funzionava a singhiozzo prima di scomparire in assenza di segnale. Infine il cinema dove le prime visioni non erano proprio all’ordine del giorno e quindi ci si doveva accontentare. Le ore passavano lente ma finalmente arrivava la mattina, i megafoni martellavano con ripetuti annunci l’apertura del “baV”. Aperto il cancelletto sopra il bancone, che separava le merendine da mani con cattive intenzioni, un marinaio-diventato-barista si apprestava a predisporre caffè e cappuccini a una pletora di persone che non vedeva l’ora di raggiungere la terraferma. All’improvviso arrivava l’annuncio, “ponte coppino, ponte coppino! ” che invitava a raggiungere i punti di raduno per lo sbarco. Quel “pontegoppino” suonava per molti come una liberazione, era l’epilogo di una piccola avventura iniziata la mattina del giorno prima, ma nonostante gli inconvenienti molti terranno quel viaggio nei cassetti indelebili della memoria come qualcosa un giorno da raccontare. m.savigni










