Il suo profilo Facebook è quello di una ragazza che condivide la sua quotidianità, tra una famiglia da mandare avanti e un lavoro, quello di nutrizionista, che la vede spesso in giro per la Sardegna. Ma da un anno, ciò che è cambiato non sono le impostazioni del suo profilo social, ma la sua vita reale, che non sono certo likes e cuoricini inanimati. Romina Giuliani, medico nutrizionista di Sorgono, era una delle persone a boro delle auto prese di mira, esattamente un anno fa, da sei balordi, molti dei quali minorenni, in piazza Costituzione a Cagliari. Armati di catene e caschi, hanno circondato le vetture e solo per miracolo non ci è scappato il morto o il ferito grave. La Giuliani ha rimediato ferite in varie parti del corpo causate dalle schegge del vetro di uno dei finestrini, mandato in frantumi con un colpo secco e forte. Non dovevano trovarsi ai piedi del Bastione, quel giorno, Romina Giuliani, il marito, i suoi due figli, sua sorella e il suo marito: “Una coppia di turisti toscani ci ha chiesto un passaggio da Assemini, stavamo tornando da una bella festa e li abbiamo accompagnati. Sono scesi e hanno raggiunto il loro b&b. Pochi minuti dopo, l’arrivo dei balordi, richiamati da mio cognato che ha avuto l’unica colpa di chiedere un’indicazione su un bar ancora aperto in zona”. Gli insulti, le botte all’auto, le minacce: “Vogliamo uccidervi”. Poi, l’arrivo della polizia e l’identificazione di una parte della gang. Scattano denunce e provvedimenti ma, a 365 giorni di distanza, nessuna lettera è stata spedita dalla questura a Romina Giuliani: “Dopo un anno nessuna giustizia e vita stravolta dalla paura”. Ecco, di seguito, la lunga riflessione che ha voluto condividere, a livello giornalistico, solo con la redazione di Casteddu Online.
“Un anno fa. Ancora euforici, dopo aver passato una splendida giornata di festa, decidiamo di dare un passaggio ad alcuni invitati. Li portiamo dove hanno chiesto: sotto il Bastione. Scendono dalle auto, ci ringraziano e vanno via. Chiacchieriamo tra noi, pensiamo che fare, ancora vogliamo festeggiare. Perciò decidiamo di domandare se nei dintorni c’è un bar aperto. Passano due giovani a bordo di un motorino ma neanche il tempo di chiedere che già partono gli insulti per noi. Vabbè, lasciamo perdere. “Che facciamo? Rientriamo a questo punto.” Ma, solo dopo un istante aver deciso di rientrare, ritornano quei due e tentano di investire mio marito. Lui si allontana. Ma non erano soli, era un’intera banda. A quel punto tolgo la cintura e scendo dall’auto pure io per capire che diavolo stava succedendo. A qualche metro di distanza uno di loro mi viene incontro sbattendo con violenza una catena sulla strada e strillando “vi ammazziamo”. Io scappo, entro nuovamente in auto, mi rivolgo ai miei figli e dico a loro “proteggetevi, mettetevi la contura”, mi rimetto la cintura anche io e sento il primo colpo. Grido a mio marito “scappa, vai via”. Ma ci circondano, picchiamo tutti la nostra auto con le catene, con i caschi e sfidano mio marito con un nunchaku. Nel frattempo qualcuno riprendeva tutta la scena col flash attivo. Il blackout out, non ricordo altro. La mia memoria riparte davanti a un semaforo rosso, lontani dalla sede dell’aggressione. Ho perso tutto, il suono dei vetri che si spaccano, la puzza di frizione, il terrore dei miei figli, le mie urla. La verità? Ho perso il ricordo perché la paura di vedere i miei figli morire ha attivato un sistema di protezione naturale. Ricordare fa molto male, per questo il mio cervello decide di farmi avere piccoli frammenti di aggressione, solo durante gli incubi o in presenza di un’azione, un odore, un rumore associati al trauma subito. Poteva andare molto male, ma ci è andata male comunque. Dopo un trauma di questo tipo si vive nella paura, si diffida di alcuni posti, di alcuni atteggiamenti. Ci si spaventa per nulla. Si rimane in allerta costante. Nonostante ciò, sono ripartita, con fatica ma l’ho fatto e lo faccio tutti i giorni, anche dopo gli incubi, mascherando le mie sensazioni, sopprimendo l’orrore. Si va avanti a metà perché una parte è ancora lì sotto quel cristallo rotto, col cuore che batte forte. Con le occhiaie stampate sul viso ho affrontato tante paure in quest’ultimo anno, grazie alle persone della mia vita, che insieme a me hanno vissuto quel terrore, a chi mi è stato accanto e grazie al mio lavoro che ha sequestrato i pensieri negativi. Prendermi cura dei miei pazienti e dei ragazzi a scuola è stato un toccasana per me. Ancora però rimane una questione irrisolta. Perché? Okay, siamo vittime per caso e poteva capitare a chiunque, ma perché questa violenza? Non potrò mai concepirla.










