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1492: anche a Cagliari mieteva vittime la temuta Inquisizione

di Redazione Cagliari Online
25 Giugno 2017
in cagliari, centro-storico

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Nel 1492 il tribunale spagnolo dell’inquisizione con compiti di perseguire e giudicare i reati di fede, autorizzato dal papa Sisto IV, si stabilisce a Cagliari suscitando timore nella cittadinanza.​

L’inquisitore per la Sardegna, Sancho Marin stabilì la sua sede in una zona chiamata “ Is stelladas” nei pressi dell’attuale viale Ciusa, occupandosi dei giudizi contro i cittadini accusati di deviazioni di fede, di bigamia e stregoneria.​

I sospettati, dopo l’arresto, subivano un interrogatorio da parte dell’inquisitore con le “pressioni” per una piena ammissione delle colpe e l’invito a nominare un difensore, difficile a trovarsi, per la paura di incappare, a sua volta in accuse di eresia, nell’esercizio del proprio ufficio.  Nei casi più fortunati l’avvocato cercava di convincere il suo assistito alla piena confessione.​

Per coloro che non riconoscevano i propri reati scattava la tortura, che era una prassi consueta ed era applicata anche dai tribunali penali normali: stiramento degli arti, il ferro rovente, lo strappo delle unghie: questi i sistemi di convinzione più usati.​

Dopo l’inevitabile confessione del malcapitato e la relativa condanna per eresia; l’esecuzione era preceduta da una cerimonia chiamata “autodafé” che iniziava con una lunga messa dopo la quale il condannato passava tra la folla preceduto dalla croce che recava il segno del lutto.​

Il morituro scalzo vestiva un grezzo saio ed apriva il lungo corteo seguito da soldati, religiosi e dagli appartenenti alla confraternita della buonamorte. 

Giunti sul luogo della sentenza il reo veniva consegnato al carnefice con una preghiera da parte dell’inquisitore che era formulata come segue: “Ti preghiamo di non far del male all’anima e al corpo di questo fratello peccatore”. Nei casi più fortunati la condanna al remo nelle galere era considerata una pena clemente, mentre,  per i religiosi, la condanna più frequente era il lavoro coatto presso un ospedale o un lazzaretto.​

Anche a Cagliari la delazione e la denuncia anonima diventarono un mezzo per eliminare nemici o contendenti, e persino la moglie del viceré, Antonio de Carbona, fu accusata di eresia e portata in giudizio dall’inquisitore Andrea Sanna che, davanti a persone potenti, preferì investire del fatto il supremo consiglio dell’inquisizione di Spagna.​

Il Viceré dimostrò l’infondatezza delle accuse rivolte alla moglie, che fu assolta mentre i suoi accusatori, rei di conseguenza di falsa testimonianza, furono condannati inesorabilmente.​

Le divergenze tra inquisizione e poteri pubblici diventarono man mano sempre più aspre e in Sardegna fu inviato, nel 1562, un nuovo inquisitore Diego Calvo che operò in modo repressivo.​

Famoso fu il procedimento contro i fratelli Gallo di Iglesias accusati di calvinismo, che però riuscirono a fuggire all’estero,  e quello contro il francescano Arcangelo Bellit reo di aver negato l’esistenza del purgatorio e della presenza di Cristo nell’ostia, che riconoscendo i suoi delitti, fu condannato al carcere a vita.​

Il Bellit fu uno degli accusatori di Sigismondo Arquer, avvocato fiscale di Cagliari, ed in seguito ottenne la diminuzione della pena a 3 anni trasformati poi in un rilievo di biasimo. 

Il libro “Sardiniae Brevis Historia et Descriptio” scritto dall’Arquer fu  sfortunatamente inserito dal luterano Sebastiano Munster nella sua “Cosmographia Universalis” cosa che causò  la sua incriminazione, arrestato fu trasferito in Spagna dove fu condannato e giustiziato a Toledo nel 1571.  

Nel 1563, senza apparenti motivi, Diego Calvo trasferisce con grande tempismo la sede della inquisizione a Sassari, forse perché nel capoluogo era pronta una insurrezione ed evitava così i pericoli per la sua persona.​

​

Tags: Cagliariinquisizionestoria
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